Gli arazzi di nubi non accompagnan per mano il sopore,
c’è mio figlio qui, innanzi a me, sveglio anche lui a notte alta.
È stupendo e ha negli occhi l’incanto di una fiammeggiante giovinezza;
robusto, sano, spettacolare nella sua irrequietezza.
Ma mi volto e una lacrima dall’iride trabocca,
e come sovente accade in questi casi mi nascondo,
con il cuore che palpita irruente e i sensi viola di un’amara depressione,
gli stessi sensi che mi rendono iracondo.
Se si ha un figlio la più grande nostra gioia è vederlo crescere felice,
saperlo in luoghi di sogno ove si mescola alla gente,
parte nostra è e dunque ci renderà onore,
onore ovunque andrà, onore e speme.
Ma se vedo il figlio mio con me insonne a notte fonda,
che si agita, si divincola dall’angusto nulla.
Che non comprende cosa gli accade intorno,
proprio perché intorno nessuno lo comprende,
se vedo il figlio mio,
rischiar di morir di sete,
attraversare notti senza casa quando meriterebbe risse e plausi,
allora il mio dolore si estende verso gli astri.
La lacrima leggera chiama le sue compagne di liquido cristallo fuso,
tuo figlio doveva avere onore no?
Non cieca solitudine,
mi dicono anche loro.
Tuo figlio doveva cavalcare gli oceani del mondo,
sfidando i fluttui tempestosi con il petto suo indomabile,
tuo figlio doveva far parlar di sé spaccando i continenti,
ancorarsi alle ferite e salvar le genti.
Tuo figlio, quell’impavido, doveva rovistar nei cuori,
doveva costruire cristalli di sentimento e fosse di rabbia,
tuo figlio doveva varcare le città e di gioia render le lacrime tue,
sfidare il sole con la sua eternità.
E invece?
Comprender il mio dolore tu non puoi,
se non hai un figlio che si chiama racconto.
bel pezzo comunque... nonostante le tue ostilità verso word press... ahahahha 😉
maledizione.....imparerò....uffff