Guardo la libreria
e non capisco niente
delle abitudini moderne.
Mi dite d'imparare a digitare,
di accettare il libro letto,
ma sullo schermo.
Si parla ad aforismi,
profeti di un momento,
in cerca di padrone.
Io scelgo d’ingiallire
come la carta di quei libri
venuti a spasso insieme a me
e loro sanno che,
tra l’uno e l’altro foglio,
s'incastra la mia storia,
la briciola del pane,
la rena del mio mare,
lo scarto di tabacco
e un fiore secco.
Regali di Natale e compleanno,
sdraiati sopra un prato
il 25 Aprile e il primo Maggio,
la lettera che ho scritto,
la foto alla cabina,
il libro di Jack Folla
tutto sottolineato.
Odorano di treno,
dell’improvviso sonno,
di tutti i miei cappotti,
di tutti i miei profumi,
di tutte le mie borse,
delle sale d’attesa,
della noia della casa,
della panchina al freddo,
di me attraverso gli anni,
dei miei pianti esplosivi
che fanno macchie blu.
Verbo sfogliare,
mettere il segnalibro,
piegare l’angolino,
sentire il peso in tasca.
Sedersi insieme agli altri,
magari fuori al sole,
fertili di un’opinione,
vogliosi di parlare.
Lo stesso libro letto,
quello che si è prestato
e non è mai tornato.
I libri che ho finito,
quelli che non ho aperto,
le note scritte dentro,
la mia generazione,
le copertine di cartone
col prezzo scritto in lire.
Avevo sette anni,
ne avevo ventisette,
avevo ed avrò sempre
De Saint-Exupéry.
non potrei leggere nessun libro che mi piace senza sottolineare e fare le orecchie alle pagine per ricordarle...