«Sei felice?»
«Guarda i miei occhi».

Spostai lo sguardo verso il suo viso. La strada era buia. Tenue la luce dei lampioni di quella serata nebbiosa. Erano due fari che si facevano strada nell’oscurità della mia anima.

«Vibrano».

Lei mi sorrise e prendendomi la mano cominciò a correre nell’incognito della notte.

«Piano».
«Mai!»

E mentre io cercavo di riportarla al grigio della realtà, lei correva e mi chiamava a sé. Mi incitava e rideva. Rideva come quei bambini che fanno giravolte e si drogano di vita.

«Piano».

Continuavo a gridarle.
«Togli il freno a mano, ora comincia la discesa».

Mi rispose lei incurante delle mie paure.

E così dicendo mi prese anche l’altra mano e mi tirò verso quello che per me era un baratro di incertezza, per lei un tuffo nell’infinito che poi forse è la stessa cosa solo vista da due punti di vista diversi.

«Toglilo».

Lo tolsi e tolsi anche la marcia bassa. Rimasi in folle e per la prima volta provai l’ebbrezza della velocità.

Il cuore batteva veloce. Scoppiava nel mio petto e non mi preoccupai di un possibile infarto. Correvo giù per la discesa riuscendo a evitare lampioni e secchi. Correvo insieme a lei e poi ancora più veloce: ero io che la spingevo a seguirmi.

E lei rideva e gridava incurante della notte e delle persone che avrebbero sentito le sue urla, la sua gioia. Viveva mentre correva e io respiravo con il naso e la bocca e il vento gelido della notte smise di schiaffeggiarmi il volto e le guance si erano fatte rosse, le sentivo calde e il sangue mi bolliva nelle vene.

«Corri».

La mia voce colpì me per primo. Sfacciatamente vivevo e il baratro dell’incertezza si era trasformato nell’antro del paradiso. E alzai gli occhi al cielo.

«Ci sono».
«Sì. Ci sei».
«Ora».
«Ora».

Arrivammo alla fine della strada. La corsa era finita. Prendevo grosse boccate d’aria dalla vita, le mani poggiate alle ginocchia. Respiravo e sapevo di farlo. Il cuore era ancora lì che batteva forte e io ero caldo. Sciolto. Sciolto.

«È stato facile».
«Già, è stato facile».

Lasciammo la strada e entrammo nel parco. Mano nella mano. Io accanto a lei. Il silenzio riempiva ogni cosa e immaginai dietro gli alberi gnomi e folletti. Raggiungemmo un grande leccio. Poggiò la mano al tronco rugoso. Una carezza, due. I suoi occhi fari nella notte.  La mia mano raggiunse la sua e poi il tronco come attratto da una calamita. Carezzai la corteccia ruvida e fredda. Una, due volte e poi tre, quattro. Ci abbracciammo io e lei, io lei e il grande leccio. Poi scivolammo giù a terra e ci poggiammo a lui. Abbracciati stretti mi disse:

«Brillano».
«Cosa?»
«I tuoi occhi».

 

Maria Musitano
Maria Musitano
Ritrovai il mio cuore nascosto sotto un cespuglio.

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3 Commenti

  1. fantastico...mi piace da morire... mi sembrava di correre su quella discesa

  2. ...la folle corsa mi ha ricordato un po' l'epilogo tragico e intenso di Thelma&Louise, qui però la folle corsa non finisce nel baratro ma in un finale di dolcezza e di tenerezza...Mi è piaciuto molto.

  3. ma è stupendo! brava!


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