1994
Primo dicembre. Mia apre il diario, guarda i compiti per il giorno dopo e pensa che per fortuna l’8 dicembre quest’anno capiterà di sabato, così non andrà a scuola per due giorni consecutivi. Il liceo è un’esperienza traumatica per lei, come la sua adolescenza e quest’anno ci sono anche gli esami!
Otto dicembre, Immacolata Concezione. Mia si trascina in soffitta con la mamma a prendere gli addobbi per il Natale, proprio non le va, ma poi apre gli scatoloni e si scopre felice di ritrovare le solite vecchie luci colorate, le palle di vetro di tutte le forme e misure e gli immancabili fiocchi rossi. Del presepe è rimasta solo la capanna con la Sacra Famiglia, i Re Magi e qualche pastorella, da mettere ai piedi dell’albero.
Non c’è niente da fare, l’albero illuminato fa sempre il suo effetto su Mia: senso di pace e voglia di rendere felice le persone che ama. Ha appena finito di addobbare casa e già pensa a cosa regalerà alla sua migliore amica, si metterà a dipingere un quadruccio su vetro, magari con un fumetto che augura buon Natale o che dice “ti voglio bene” , poi farà un bel pacchetto e attenderà di vedere gli occhi stupiti di chi non si aspetta tanta dedizione per un regalino. Le dirà che è una sciocchezza e che è il pensiero quello che conta e, soprattutto, le scriverà un bel biglietto con tante parole rubate a canzoni, quello sarà il vero regalo: farle sapere quanto è importante per lei. Per la sua famiglia andrà alla ricerca di qualcosa di azzeccato per ognuno, ma il vero problema sarà la mamma, che resta sempre insoddisfatta. Pazienza!
Ventiquattro dicembre. Mia ascolta la radio e canta cercando di fare l’indifferente, sua madre le passa dietro per l’ennesima volta e cerca di persuaderla a cambiare idea, ad andare con loro. Ma Mia non vuole passare l’ennesima vigilia nel caos del consumismo, non intende andare a casa della cognata della zia con venti persone chiassose che pensano solo a mangiare, giocare a carte e scartare regali. Chissà perché si aspettava che quest’anno le cose cambiassero… ma si è illusa ingenuamente e se ne è resa conto troppo tardi. Non c’è magia in quel Natale, non c’è attesa, non c’è amore. Sa già che tutti i suoi parenti le allungheranno qualche lira e che i suoi genitori anche quest’anno non le faranno nessuna sorpresa, ormai sanno solo chiedere “ Cosa ti serve? Cosa vuoi?” e lei, che ne avrebbe di desideri, risponde sempre che non lo sa, in parte perché vorrebbe una sorpresa fatta col cuore sotto l’albero, in parte perché sa che i suoi desideri un po’ costosi non sarebbero compresi e condivi dalla madre e che si scatenerebbe l’ennesima discussione. La delusione è cocente e le brucia l’evidenza che le persone cambiano, che i “ grandi” cambiano, che sono incoerenti: le hanno insegnato l’attesa, la magia, la semplicità e ora pretendono che lei accetti il contrario. Ma è inutile parlarne, meglio fare l’adolescente bisbetica e dire un semplice “Non mi va, non rompete!” Si, quest’anno è decisamente meglio restare a casa a vedere la tv da sola, almeno potrà guardare le luci dell’albero in santa pace, sospirare davanti ai films trasmessi uno dopo l’altro che le faranno assaporare l’atmosfera natalizia. Passerà la serata a pensare a come vorrebbe che fosse il suo Natale, a come in futuro, quando avrà una casa tutta sua, farà in modo che sia. Poi si metterà sotto le coperte e potrà sognare, piangendo, un Natale che non c’è più.
ho smesso di festeggiare il natale in famiglia molto dopo nascondendomi dietro i turni di lavoro. Però con l'adolescenza era arrivata la disillusione del natale e i rimpianti per quello che non c'era più. Ed ora che Mia è adulta?
vero interessante vedere come cambi la visione delle cose con il passare degli anni accostandolo al tuo precedente racconto e anche io a questo punto sarei curiosa di sapere com'è il Natale di Mia adesso...
Mi sono sicuramente perso i capitoli precedenti...
C'è del personale...
In tutti i racconti c'è del vissuto, non necessariamente diretto, magari rubato. E comunque si,c'è del vissuto: la mia idea di Natale.
Non è vero che in tutti i racconti c'è del vissuto...dipende dal racconto.
Non sono d'accordo: qualunque racconto ha almeno un pizzico di vissuto, magari il ricordo di un abito, di un colore, di un emozione, un profumo. Magari metti i capelli di tua nonna nella descrizione della vittima del tuo giallo, o gli occhi blu di qualcuno che ti ha segnato, nell'eroina del tuo romanzo fantasy.
Il mio caro e buon amico Giuseppe Bordi ha insegnato a me ai miei alunni che uno scrittore ha tre fonti d'ispirazione e la più importante sono i ricordi, poi vengono i sensi e l'esplorazione della realtà che ti circonda ( non è anche questo vissuto?) e poi l'immancabile fantasia. Tutti e tre componenti imprescindibili. Io sposo questa teoria e mi piacerebbe avere un esempio di racconto senza vissuto. Illuminami, non ho la superbia di credere di avere sempre ragione! 🙂
Io sono d'accordo con te Michela, forse Nevrotico voleva dire che non tutti sono autobiografici, (e meno male se no la fantasia non avrebbe alcun ruolo), e questo senz'altro, ma qualcosa di nostro ce lo mettiamo per il fatto stesso che lo scriviamo noi
Come tutti credo, anch'io ho visto sfumare di anno in anno la magia del Natale, ed è un vero peccato che non si riesca davvero a conservare la gioia e la purezza nel cuore, allora, visto che probabilmente queste sono doti che contraddistinguono solo i bambini, quest'anno che sono diventata madre, proverò a ritrovarle negli occhi di mia figlia.