Leggende, storie che devono essere lette. Come i miti, le favole e le fiabe, fanno parte del patrimonio culturale di ogni popolazione e non sono poi così lontane da quella verità che solo i bimbi sognano di descrivere.
Mi chiamo Pupi ed ero un pesce rosso. Lo so, il nome è chiaramente frutto della mia fantasia, ma preferirei rimanere nell’anonimato almeno fino al termine di questa storia.
Per molto tempo sono rimasto appartato ed in silenzio, ma credo sia arrivato finalmente il momento che il mondo venga a conoscenza dei fatti che andrò qui di seguito a narrare.

Ricordo che era una calda serata di luglio dell’ anno 1951 e, dall’alto della sua cabina, il comandante Pietro Calamai stava contemplando la misteriosa volta celeste del cielo illuminata solo a tratti dal bagliore intermittente del faro di Nantucket.
Il suo transatlantico avanzava ad una velocità costante di 21 nodi. Il nome scritto a caratteri chiari sulla prua era “Andrea Doria”.
All’epoca vivevo in una coppa di cristallo ben ancorata sulla scrivania della cabina e trascorrevo le mie giornate in balia di colorati sogni ed alienante riposo.
Ero il pesce rosso del comandate e andavo fiero del mio ruolo. Sapevo che avrei potuto solcare i mari ed osservare il mondo da un punto di vista che nessun essere di quelli appartenenti alla mia specie avrebbe mai potuto vantarsi di avere. Mi sentivo speciale.
In fondo quella era una delle tante notti in cui una grande nave attraversava gli oceani ed io da giovane pesciolino sognavo come sempre che la mia fama di nuotatore e di scrutatore degli abissi marini sarebbe stata un giorno messa a disposizione del mio comandante.

Ignoravo che di lì a poco si sarebbe consumata la seconda più grande tragedia di mare dopo quella che aveva visto protagonista un enorme blocco di ghiaccio e la nave più sicura del mondo, il Titanic.
Alle 22,45 il mio comandate saltò in piedi dalla sua branda per rispondere ad una chiamata della sala comandi. Il radar aveva segnalato una nave che avanzava verso la nostra a 18 nodi ed era a meno di 1 miglio.
Le imbarcazioni si sarebbero scontrate. Vidi Calamai ordinare di accostare di quattro gradi a sud, cioè di spostarsi verso sinistra, in modo da aumentare la distanza. Ma di lì a poco compresi che non sarebbe servito a nulla.
Una rompighiaccio svedese al comando del ventiseienne Cartens-Johannsen, sostituto di un comandante che in quel momento stava riposando, entrò in collisione con la nostra con un angolo di quasi 90 gradi e fù una prua rinforzata in acciaio a squarciare la fiancata per quasi tutta la sua lunghezza.
Il rumore delle sirene di allarme attraverso’ l’aria, il vetro e l’acqua per giungere alle mie piccole branchie rosse. Poi fù il turno dello stridio delle lamiere contorte e delle grida degli oltre mille passeggeri.
L’impatto devastò molte paratie stagne e perforò cinque depositi combustibile. Il nostro fantastico transatlantico cominciò ad imbarcare acqua di mare dell’ordine di circa 5 tonnellate al secondo. L’Andrea Doria sbandò a dritta per oltre 15 gradi rassegnandosi ad un destino irreversibile.
Quel giorno il mio comandante pianse. Mi cercò attraverso la trasparenza delle sue lacrime trovandomi dietro al vetro della mia solita coppa di cristallo. E fù lì che per la prima volta mi parlò: “È ora di vedere quello che sai fare.”
Poi, aperto un oblò, gettò la mia coppa di cristallo in mare.
Fù una lunga ed inutile attesa la mia. Vedevo l’acqua dell’oceano farsi più vicina. Confusi il senso di morte scambiandolo per libertà. Ma ero un pesce d’acqua dolce. Non emersi mai più.

Qualcuno sostiene che i pesci d’acqua dolce possono sopravvivere anche in oceano aperto, e che possano addirittura tornare in terra quando fra gli uomini non c’è più nessuno che soffre per dolore o per ingiustizia. Altri invece sostengono che per ogni pesce rosso che muore avvenga invece un miracolo o un atto di giustizia.
Non so quanto di vero ci sia in tutto questo, ma ci credo ciecamente.

Mi chiamo Linda Morgan, ed il 25 luglio dell’anno 1956 occupavo la cabina numero 52 che fu la prima colpita dalla prua di un rompighiaccio svedese. Venni sbalzata dal mio letto ritrovandomi sul ponte di un’altra nave. Scambiai la realtà per un sogno e nel mio sogno vidi un pesce rosso nuotare via.
Oggi ho 74 anni ed i miei figli mi chiamano scherzosamente Pupi.

Gianluca Marcucci
Gianluca Marcucci
L'anno di nascita è un enigma: Il numero degli sbarcati con Garibaldi, moltiplicato i figli della Lojelo, sottratti gli apostoli, moltiplicato il modello della fiat più venduto nella storia, sottratta la maggiore età, per il numero dei moschettieri, diviso i punti cardinali. Romano di nascita, piemontese di adozione, imprenditore per passione, giornalista per definizione e scrittore per gioco. Dicono che sia un professionista del poker, ma la mia vittoria piu' grande è alta circa un metro, fa qualche capriccio e quando sorride mi trasforma in Peter Pan... //poker.sportmediaset.it/wpmu/

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