“Avete ascoltato le grida disperate di Alessandro mentre si toglieva la vita dopo aver meditato razionalmente di farlo per tanto tempo?”
Questa era la domanda che scorreva ripetutamente nella testa di Francesco, quando, attonito, guardava un talk-show televisivo dove alcuni esponenti del mondo intellettuale e politico a lui vicino parlavano di libertà ed autodeterminazione riguardo al suicidio, non solo confondendolo con le altre modalità del fine vita, ma in modo tanto urlato quanto narcisistico e semplicistico, tagliando ogni dubbio e riflessione sul rapporto tra l’uomo e la vita con l’accetta delle citazioni estrapolate dal contesto e le accuse di oscurantismo e bigottismo ad ogni minima osservazione posta al loro interloquire dal podio mediatico. Lo stessa realtà televisiva e massmediatica che, molti guru apparentemente antagonisti - in realtà lontanissimi da scelte di vita radicali, francescane, marxiste o in altri modi alternative nella sostanza e non solo nei ruoli delle parti in commedia - nei convegni tra simili, ai quali lo stesso Francesco era spesso presente perché credeva in certi ideali in modo tanto autentico quanto disinteressato, tanto ipocritamente bistrattavano, ma che erano i primi ad usare sia per il tanto condannato profitto che per manifestare con modalità massificate il loro sentirsi “avanti e liberi”, lasciandosi alle spalle ogni possibile comprensione delle sensibilità altrui.
Distanti dall'onestà di chi almeno affermava di far parte volutamente del circo mediatico ed aveva il coraggio anche di dire autenticamente grazie ai media che utilizzava.
Limitati in un empatia parziale erano totalmente incapaci di ascoltare le lacrime e le voci di chi non fosse progressista come si autodefinivano e di chi, a differenza loro, pur essendolo in modo autentico impegnandosi fattivamente nel contesto sociale, aveva avuto un vissuto ed intuizioni che lo portavano a concepire il suicido in modo diverso.
Tanto per loro si era fautori delle libertà e delle diversità semplicemente per procura, con una sorta di il timbro identitario.
La cosiddetta società civile che ad essi guardava ne aveva fatto dei miti intoccabili, proiezioni personali e collettive, fino ad accettarne qualsiasi affermazione anche su temi sensibilissimi ed intimi, sostenendoli aprioristicamente senza alcun spirito realmente critico ed autonomo. Per questa sedicente società civile le masse che non pensavano erano sempre dall'altra parte, non guardava mai dentro se stessa! Aveva ridotto la filosofia, la religione ed il sentire individuale ad un meccanicistico appoggio a tutto ciò che era di parte, compresa l’interpretazione del suicidio.
Altrettanto sgomento e rabbia provava Francesco sentendo l’assolutismo di ipotetici ad autoproclamati difensori della vita, che dal loro modo di argomentare, seppur non pretendendo di sapere l’intima verità del loro agire, parevano più essere attenti a demolire l’avversario televisivo, che ad offrirsi per tendere la mano a chi magari, a loro dire, ne avrebbe avuto estremo bisogno! Senza metterci quell'anima che tanto decantavano, bramando come fossero dei pubblici ministeri in un ipotetico tribunale del vivere.
In internet, nei vari forum, dove le persone avrebbero avuto la possibilità di confrontarsi ed arricchirsi reciprocamente, come tutti dicevano di voler fare, ma non facevano quasi mai, non c’era alcuna originalità. Le accuse reciproche, le offese gratuite ed i narcisismi autoreferenziali si moltiplicavano a dismisura in inutili, sterili ed eterni botta e risposta telematici. Divenivano ancor peggiori delle tanto discusse, quanto viste e desiderate, rappresentazioni televisive.
Francesco non poteva dimenticare quanto fece il suo più caro amico!
Alessandro preparò tutto con cura.
Lanciò nei mesi precedenti al suo gesto alcune battute e domande sul suicidio per sondare il terreno su come avrebbero reagito i suoi cari se si fosse tolto la vita e per chiarirsi egli stesso ulteriormente le idee sul voler fare o meno quel gesto, anche se sapeva che in fondo la decisione era quasi certamente già maturata da precedenti riflessioni e convinzioni, evitando accuratamente di destare sospetti concreti.
I giorni che precedettero il suo suicidio scrisse con estrema cura una lettera toccante, dove esprimeva tutto l’affetto per chi gli era accanto e la sua inadeguatezza a vivere, raccomandandosi di non preoccuparsi e non soffrire troppo perché era consapevole di quel che stava per accingersi a compiere, con pienezza e controllo di sé.
Si alzò di buon mattino, quando tutti uscirono pose la lettera sul tavolo della cucina ed uscì per recarsi alla vecchia casa di paese dove fin da bambino andava in vacanza con i suoi. L’abitazione si trovava nella rocca più alta, distante da altre case e dalla finestra del soffitto avrebbe avuto la certezza che il suo volere sarebbe stato soddisfatto. In quel luogo poi sarebbe stato certo che il suo corpo, sia pur segnato, avrebbe ricevuto le dovute cure senza andare disperso. Era poi un luogo per lui dal valore altamente simbolico. Entrato nella casa salì in soffitta ed aprì la bottiglia di whisky, precedentemente messa da parte e nascosta accuratamente, aprì la finestra e si gettò nel vuoto.
Francesco, che quel giorno sarebbe dovuto andare a lavorare, ma che, in via del tutto eccezionale decise di andare alla rocca per cogliere i capperi che in quel periodo abbondavano sui muri e tra le rocce e sentì delle urla tanto breve quanto fragorose. Alzò in fretta gli occhi senza avere il tempo di fare altro.
“Nooooo! Non voglioooooo! Aiuuuutooo!!!”
Nell'istante in cui le grida terminavano, Alessandro era morto.
Di quel corpo che si ribellava cercando invano aprigli nell'aria e di quelle grida di un istante, fatte di un ritrovato ed autentico desiderio di vivere, uscite con forza proprio dopo un intenso e lungo meditare ed un consapevole gesto, restava l’immobilità, il peso ed il silenzio.
No, Francesco non poteva proprio dimenticare!
Spense il televisore ed il pc.
Tra parole come 'istinto' e 'consapevolezza', 'dovere' e 'libertà', si accorse che ne mancava una.
Quella che in realtà non bastava pronunciare, ma provare!
Che avrebbe potuto accompagnare e donare senso e rispetto a tutte le altre parole.
Aldilà dell’apparente fragilità in cui la contemporaneità la relegava, richiedeva al contempo determinazione e sensibilità, elaborazione dell’esperienza e pienezza d’animo:
'DELICATEZZA'.
Forte e mancata delicatezza…
“Ciao Alessandro!” Balbettò sussurrando dolcemente Francesco, prima di chiudere gli occhi arrossiti e piangenti.
Non è stato semplice scrivere questo racconto. La non semplicità mi ha però offerto la possibilità di vivere un esperienza emotiva positiva, pur lontana dall'essere allegra. La scrittura si è traformata in una messa in opera del metodo Stanislavskij fuori dal suo ambito. Il fatto è che la storia seppur di pura fantasia non si allontana da storie reali. Per questo la critica al trattare determinati argomenti come match pugilistici tra protagonisti mediatici ed intimità ridotte a mero tifo non può che essere sentita. Quale regalo si farebbe alla vita ed all' intelligenza pratica ed emotiva se la parola 'delicatezza' non venisse sbaffegiata, ma ci rendesse conto della forza che contiene e richiede! Soprattutto per temi riguardanti l'essere liberi o meno, la comunità, l'individualità, il senso dell'esistere. In modo consapevole o accidentale, fuggendo od immergendosi, si è chiamati alla ricerca. In buona parte proprio nel ricercare risiede la bellezza dell'esistere e dell'esprimesi.