La via di fuga

Racconti matteo

Suona il telefono. Lascio che finisca di sfogarsi, poi un frammento di silenzio e il display che resta acceso, una chiamata senza risposta, Francesca.
Prendo una rivista che ho rubato nella sala d'attesa del medico, esco sul piccolo terrazzo di questa casa in cui vivo in affitto da un anno e più, mai completamente mia.

È dicembre, c'è un po' di sole di quello che non scalda, eppure sento che mi colpisce. Inizio a sfogliare, poi a leggere che i cetrioli sono ricchi di magnesio e cotti possono far bene in caso di intossicazioni. Ne comprerò un sacchetto pieno, per guarire da te.
Fumo ancora, la pagina dove dice che fa male l'avevo già strappata.

Dalla finestra sopra la mia esce la voce di Loredana Bertè, dice che la luna ha bussato alle porte del buio, e chissà chi ci vive in quell'appartamento. Il geranio non ha retto al freddo o a me e da pianta perenne si è trasformato in un ricordo secco. Ci metto lo stesso l'acqua di una bottiglia che era rimasta lì per caso, penso alla fioritura e so che non ho scuse per non aver accudito alle mie radici.

Il cane mi guarda, mi tira un mazzo di chiavi, mi fa capire che posso ancora andarmene. Ma bussano. Più forte. Ancora. Non avrei dovuto fermarmi a fumare. Avrei dovuto accendere la macchina quando ho visto che la sera si stava facendo stretta per abitarla in due, avrei potuto accellerare e poi alla salita del muraglione tirare le marce, sorpassare sulle strisce senza stelle, cercarmi l'america lontano da qui dove il cameriere ti dice un altro no.

Dietro la porta, senza fare rumore, mi siedo e ascolto. Chi bussava ha desistito e forse resta lì davanti con lo sguardo un po' sperso, incerto, e non sa se andarsene o aspettare. Magari tornare più tardi, o lasciare un biglietto con un nome e uno spazio bianco.
Guardo la linea minuscola tra una mattonella e l'altra, si chiama fuga e già questo ti fa capire che c'è molto più posto dove stai di quanto ne troverai quando cerchi di scappare.

Così mi alzo, e decido. Se suona il telefono di nuovo, risponderò. Suona. Squilla. Stride. Strepita. Francesca. Dico pronto, dico dimmi, dico quando, dico ok.
Apro la porta e lei è lì. Il cane la annusa furiosamente, lei lo accarezza su un orecchio. Non le dirò che ho ucciso un geranio né che qui è un lusso la fortuna.
Con la luce della luna guarderò nei suoi occhi, dove c'è solo un lago enorme senza vie di fuga. Se il sole torna a cercare di illuminare le ferite, ci faremo trovare nudi, che si faccia pure avanti.

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La speranza è nell'opera. Io sono un cinico a cui rimane per la sua fede questo al di là. Io sono un cinico che ha fede in quel che fa. (Vincenzo Cardarelli)----- //badradio.splinder.com/

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8 Commenti

  1. Se questo racconto fosse su un libro di carta e inchiostro avrei sottolineato quasi tutto... bello ...bello 🙂

  2. Matteo come sempre mi perdo nei tuoi racconti, mi perdo nella fuga delle mattonelle e anche nel geranio che non ce l'ha fatta a sopravvivere.

  3. Matteo, forse già te l'ho detto un paio di volte o più
    hai un modo di scivere e "cucire" parole e immagini che queste riescono ad evocare che mi incanta ...

    • hai ragione... lui incanta davvero con le parole quando scrive 🙂

  4. Sai, mi è piaciuto davvero.

    in te vedo qualcosa che assomiglia a quel che definisco "evocazione".

    Uno studio un po più complesso di una semplice riga di descrizione. E' quello status che assumono le parole quando nessun'altra forma di comunicazione sarebbe in grado di descrivere.

    Ne parleremo un giorno, magari...

    In bocca al lupo, matteo...

  5. Ti ho letto per la prima volta Matteo e mi piace il tuo modo di scrivere... sì mi è piaciuto questo racconto.
    Al prossimo!

  6. Mi è rimasta appiccicata una straordinaria malinconia. Bravo.

  7. potrei baciarvi uno a uno,vi va? 🙂


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