Lei era una gatta. Era il felino per eccellenza anche se non lo sapeva.

Lei che i gatti non li guardava. Lei che non capiva che bisogno avessero le persone di godere delle loro fusa. Lei che senza saperlo era la prima che ne elargiva intorno in cambio di carezze, parole dolci e amore. Amori frugali come un pasto serale consumato in piedi davanti alla credenza. Amori che duravano il tempo di un orgasmo, due, quando le andava bene.

Nessuno riusciva a possederla: era una gatta. Inafferrabile lungo la strada come sotto le lenzuola. Conosceva bene la danza dell’adulazione, i suoi occhi dolci e profondi in contrapposizione con le unghie lunghe e affilate che sapevano lasciare profondi segni sulla schiena. Unghie retrattili e occhi che avevano imparato a vedere meglio nell’ombra delle viuzze strette della città antica, dove spesso non funzionavano i lampioni e la luna non riusciva a raggiungerle con i suoi tenui raggi.

Conosceva gli anfratti bui della memoria e non si concedeva mai una seconda volta a nessuno se lo scambio non le era parso almeno equo. Ne andava della sua sopravvivenza in quella giungla dove il grande mangiava il più piccolo, dove quello che contava era l’apparire e non l’essere.

Lei era una gatta anche se non lo sapeva e come tale si muoveva silenziosa e sinuosa. Sapeva marcare il territorio quando serviva. All’occorrenza e mai per eccesso di possesso.

La prima volta che la vidi era seduta al bancone di un bar, sola. Beveva un gin and tonic senza fretta mentre con gli occhi teneva sotto controllo la situazione. Teneva sotto controllo anche me e quel giorno non ci fu verso di avvicinarla. Tornai in quel bar anche la sera dopo e quella dopo ancora. La gatta però non c’era e di lei non riuscii a sapere nulla, nemmeno il suo nome o soprannome. Nemmeno venti euro di mancia al barista erano serviti.

Fu lei a trovare me un mese dopo mentre camminavo a passo sostenuto verso casa. Si avvicinò decisa e con la sigaretta spenta fra le labbra carminio.

-          Fammi accendere.

Mi disse. E io tirai fuori dalla giacca l’accendino. Mi aveva tenuto d'occhio quella sera al bar e forse anche le successive o così mi piace immaginare. Sapeva tutto di me, i miei gusti, le mie abitudini perfino le strade che amavo percorrere solitario perdendomi nel disincanto di ciò che non era stato. Lo sapeva, lo percepiva in quella sua anima felina.

Mi si strusciava addosso per poi allontanarsi lasciandomi solo con il mio desiderio inappagato di possederla. Spariva per giorni e poi tornava sempre silenziosa. E la ritrovavo con la sigaretta spenta fra le labbra rosso carminio davanti a me che mi diceva:

-          Fammi accendere.

E io tiravo fuori dalla tasca dei pantaloni l’accendino.

Giocava con me come il gatto gioca col topo. Mi teneva per la coda, apriva la bocca e mi mordeva per poi lasciarmi libero facendomi credere che almeno per quella volta mi risparmiava.

Come una gatta si dava solo quando il calore metteva in moto i suoi ormoni, ma prima doveva assicurarsi che fossi alla sua altezza. Avevo superato tutte le prove, lei almeno me lo aveva fatto credere perché al nostro quinto incontro non mi disse:

-          Fammi accendere.

Ma semplicemente si intrufolò nel portone insieme a me. La gatta sapeva anche a che piano abitavo. Era lei che mi precedeva sulle scale ed era sempre lei che si fermò alla mia porta. Aveva marcato da tempo il suo territorio ancor prima che io me ne potessi accorgere.

Immagino che nella nostra danza lo scambio fu equo, a venire fummo in due; lei urlava di piacere sopra di me cavalcandomi senza ritegno una, due, tre, volte. Le sue unghie lunghe e affilate infilate nel mio petto. Venni mentre il sangue sgorgava intorno ai miei capezzoli.

Era una gatta, il felino per eccellenza. Si affacciò alla finestra con la sigaretta spenta fra le mani, cercava la luna piena. Senza voltarsi mi disse:

-          Fammi accendere.

E io frugai nella penombra nel cassetto del comodino e presi l’accendino.

Maria Musitano
Maria Musitano
Ritrovai il mio cuore nascosto sotto un cespuglio.

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12 Commenti

  1. Complimenti Mariella! Una pagina intrigante nei panni maschili
    del topo trastullo della gatta. Scritta molto bene.
    Bravissima!

    • grazie Marisa, la storia è nata guardando una foto dove il soggetto fotografato aveva occhi da gatta..

      • Molto misterioso ed intrigante questo "soggetto" allora!! 🙂 Mi è piaciuto Mari, soprattutto il fatto che sia raccontato dal punto di vista maschile e non è per niente facile essendo tu una donna. Bella prova amica!

        • ehehehehe... sperimento, questo ho da fare con le parole... un gioco, nulla di più, come spostare i punti di vista dall'uomo alla donna, al cane al bambino.
          Un po' come quando si fanno le ciambelle alcune riescono bene altre male... alcune sono più dolci altre mancano di quel pizzico... giochi e niente più.

    • grazie Karen... Ah le gatte o si amano o si odiano non ci sono vie di mezzo e non sono accondiscendenti come i cani

      • i cani sono fedeli...ma non saranno mai affascinanti come i gatti...

        • Guarda alla fine non si riescono a fare paragoni. Il cane e il gatto sono complementari fra loro. Io che ne ho e ne ho avuti un po' fra cani e gatti mi accorgo che ci sono dei casi in cui si somigliano molto... entrambi comunque marcano il territorio... maschi o femmine che siano.

  2. Bravissima Mariella !!

    Hai capito la Gatta !!

    O ma mai che ne incontrassi una io ..... mhà ..... sarà perchè ho smesso di fumare !!

  3. Gatti e Gattosi...

    chi ha mai detto che un topo non provi piacere a giocare con il gatto che lo insegue...

    ....probabilmente fino al momento della morte. Ma il protagonista del racconto non è mica morto...

    ...allora forse tutti i topi gradirebbero giocare un po.

    ma è solo un'idea...

    • ci sono topi e topi... ci sono topi che han no paura e altri che sono affascinati dal gatto come predatore che li tiene per la coda e poi li lascia andare via dandogli la possibilità di nascondersi. Per i gatti è un gioco ormai, non più una necessità e ucciderli non è più la loro aspirazione perché una volta morti non sono più divertenti. Quindi... la tua idea è fattibile.. anche nel topo si scatena adrenalina e adrenalina chiede altra adrenalina... non se ne esce più... fino alla morte...


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