La vita degli altri

Racconti sarasolosara

La signora Lorena era una bevitrice part-time. Così come del resto era sempre stata una fumatrice part-time. Sostanzialmente non si era mai data al vizio a tempo pieno. A tempo pieno però si faceva i fatti degli altri. Non poteva resistere e doveva sempre esser a conoscenza di tutto ciò che succedeva nel suo piccolo condominio. Già perché lei fuori dal suo condominio non metteva il naso, e quei tre palazzi e le loro nove scale  rappresentavano per lei tutto il suo mondo. A me faceva pena. Invece ai miei amici Fede e Luca no e quando la vedevano passare la malignità era sempre in agguato:

Guardala, guardala. Si è messa dietro alla colonna facendo finta di guardare la strada, anche se si vede benissimo che cerca di capire con chi sta parlando  la signora Morandi…

Ma dai Luca, sei davvero pessimo. Sta solo guardando la strada. Che vuoi che faccia una così. Non gli è rimasto che guardare le macchine che passano. Per fortuna che hanno  aperto questo discount qua di fronte che le ha movimentato un po’ la situazione… tra macchine in seconda fila e ubriaconi che bivaccano con il vino a poco prezzo, qualcosa in più da vedere c’è.

Ma sì, dai Luca, ha ragione Marta. Che male fa la povera signora Lorena, se non quello di andare a spifferare a chiunque qualsiasi cosa?

E giù a ridere. Compresa me.

Però, però, malgrado ridessi,  restava il fatto che a me la signora Lorena e la sua sete di notizie  facevano  una gran pena.  Perché una persona che vive la vita degli altri con così tanta partecipazione, significa che ritiene la propria davvero vuota e priva d’interesse.  Diciamo che più che essere infastidita dalla sua presenza, ne ero più che altro inquietata considerato che un paio di volte mi aveva vista in situazioni per me, adolescente che teme i propri genitori, diciamo “compromettenti”.  Anche se, ad onor del vero, la Signora Lorena, pur impicciandosi dei fatti altrui, non era incline al pettegolezzo o alla diffamazione; lei semplicemente voleva sapere come si svolgesse la vita degli altri.

Una sera stavo aspettando Fede nel cortile. Camminavo avanti e indietro perché avevo fretta e lei era come sempre irrimediabilmente in ritardo. Stavo armeggiando con il cellulare quando vedo aprirsi il portone della scala D e il naso della Signora Lorena fare capolino. Poi la vedo uscire, nelle mani l’ennesimo scarno sacchetto della spazzatura, ai piedi le solite ciabatte. Mi passa davanti e guardandomi felice mi saluta: Buonasera, buonasera (lo diceva sempre doppio).

Buonasera Signora Lorena,  le faccio io.

E poi inspiegabilmente, visto che non mi ero mai spinta più di un saluto, le faccio, per attaccar bottone: Fa freschetto stasera, non è vero? Sembra proprio che l’inverno sia arrivato tutto insieme.

La fiera della banalità, lo so, eppure con questo tipo di persone funziona sempre.

E lei: Sì, sì. Verissimo, io ho dovuto cambiare di corsa il copriletto! E dicendo così mi viene incontro, avvicinandosi ormai del tutto. Quando me la trovo ormai parata davanti, la guardo meglio, forse per la prima volta direi. E la cosa che a primo impatto mi colpisce sono gli occhi, grandi, spenti e tristi, anche se in quell’istante ravvivati dalla contentezza di parlare con qualcuno.

Sto aspettando la mia amica. È in ritardo. Mi doveva accompagnare, perché mi si è rotto il motorino ed io volevo raggiungere il mio ragazzo. Anzi, forse sarebbe meglio chiamarlo quasi ex, visto che mi sta lasciando.

Giuro. Non so perché le ho detto tutto ciò. Forse sarà stata quella luce negli occhi, una sorta di siero della verità visivo, ripeto, non so. Ma fatto sta che è come se questa mia piccola confessione le avesse aperto le porte del cuore.  E così mi sono ritrovata seduta sulla panchina, dimenticando che aspettavo Fede, dimenticando che volevo correre al Cube a cercare Francesco e parlargli e chiedergli perché mi stava lasciando visto che io lo amavo ancora tantissimo. Mi sono ritrovata, dimenticandomi di tutto e tutti a parlare con la fantomatica Signora Lorena, quella che non si fa mai i fatti suoi. Così, man mano, ho compreso meglio l’immagine di questa donna sola. Una vita trascorsa nell’ombra di un marito che le rivolgeva  la parola solo per comunicarle la sua misurazione della glicemia o per dirle come si sentiva, sempre gravato dai suoi malanni,  per lo più tutti immaginari e psicosomatici.

Lei e suo marito avevano avuto un solo figlio. Un maschio che appena raggiunta la maggiore età si era imbarcato su una nave facendo ritorno a casa solo una volta all’anno per una manciata di giorni… così lei era sola  e non aveva nessun altro all’infuori dei condomini da spiare.

Così parlando ho intravisto la sua vita vuota e solitaria ed ho capito perché scendeva tre o quattro volte al giorno per portare fuori la spazzatura, per prendere una boccata d’aria, per fuggire dal suo appartamento lindo e inamidato, dalla sua vita ordinaria e piatta. Dalle cose non vissute, mai usate, nuove e ancora incartate nel cellophane. Scappava e preferiva di gran lunga sapere per esempio che il signor Mastronardi aveva comprato un appartamento nuovo nello stesso stabile e che l’avrebbe affittato a chissà chi, o che  la signora Floccari aveva un’amica bionda con cui usciva ogni martedì sera e chissà cosa facevano visto che si ritiravano sempre tardissimo.

Ho capito e compreso questo suo micro mondo, che siamo noi, abitanti di questo condominio e da allora, giuro, non mi sono più nascosta per paura per esempio,  che mi vedesse fumare sotto al garage, ma le ho offerto la mia vita come il migliore degli spettacoli teatrali.

La salute della signora Lorena, troppo offuscata da quella pessima di ferro del marito, un giorno d’inizio inverno, quando bisogna cambiare in fretta il copriletto, ha smesso di essere efficiente in un sol colpo.

Io spero solo che ora che lei si è andata a svagare in cielo tra le stelle infinite e a vivere finalmente la sua vita, qualche volta questo spettacolo, se lo venga a godere ancora.

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Sara M. nasce a Roma il diciotto aprile millenovecentosettantasei. Sin dai primissimi anni di età, pur non sapendo leggere e scrivere, trascorreva il proprio tempo riempiendo pagine e pagine di caratteri incomprensibili e non appena seppe farlo veramente iniziò senza fermarsi più, cimentandosi in letture anche complicate per la sua giovane età. In realtà ritiene molto difficile scrivere una biografia di se stessa, soprattutto quando alla fin fine non si è combinato poi molto, ma ha all’attivo un racconto “Strade” che presto sarà pubblicato all’interno di un’antologia dal titolo: “Vivere o sopravvivere” di cui è la curatrice insieme alle sue amiche scrittrici Karen Lojelo e Mariella Musitano, e tante idee ancora da concretizzare. Per il suo essere puntigliosa e scrupolosa nello scovare errori grammaticali e sintattici, viene spesso invitata a rileggere e correggere scritti prima della loro pubblicazione. Scrive sotto lo pseudonimo di SaraSoloSara. [...]La vita più intensa è raccontata in sintesi dal suono più rudimentale, quello dell’onda del mare, che, dacché si forma, muta ad ogni istante finché non muore! [...] -Dalla Coscienza di Zeno, Italo Svevo-

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8 Commenti

  1. bellissimo Sara...scritto divinamente mi è sembrato di essere lì a parlare con al signora Lorena!

  2. Complimenti un racconto veramente bello, delicato ed emozionante. Smettere di giudicare o di immaginare senza realmente sapere ed avvicinarsi per farsi un po' di compagnia: questo mi è risuonato molto. Grazie.

    • Grazie davvero Maria Flora, in effetti è proprio questo l'intento con cui ho scritto questa storia. Troppo spesso, me compresa, siamo abituati a dare su chi non conosciamo giudizi sommari, vere e proprie sentenze che inevitabilmente segnano e classificano le persone unicamente per i loro atteggiamenti. Se invece ci sforzassimo di conoscerle meglio capiremmo il perché di determinati comportamenti.

  3. Bello davvero Sara. Meraviglioso e alla fine mi sono pur eun po' commossa e la signora Lorena l'ho vista con occhi diversi durante la lettura del racconto. E mi sono ricordata che quando ero piccola di fronte alla mia finestra viveva una signora, la signora iolanda se non ricordo male, che passava davvero tutta la giornata in finestra. Ci passava talmente tanto tempo che le sue braccia, all'altezza dei gomiti, avevano i calli. Giuro calli neri.

    • Ma dai? Addirittura calli neri? Povera! Grazie amica per avermi letto e per aver apprezzato!

  4. Complimenti, si legge davvero...


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