Su un dito di terra l’eternità accumulata dal vento,
spietrificato è il monte, granello per granello.
Così un deserto, dove il coyote va per meditare,
una parentesi lunare tra i monti e la pianura.
La tonaca di sabbia grigia cade lì per caso,
come agli occhi una notte d’Agosto nel freddo passo.
Nessuno ha fretta del buio, tranne l’arcata celeste
che mostra un osso a reggerla, nell’assedio di stelle.
Un’improvvisa foresta di silenzi con le orecchie torbe,
il tonfo sordo del deglutire e uno squarcio di meraviglia,
il diritto del sentiero, la curva indaco dell’orizzonte a fianco.
Qui si viene nell’istante della vita che trapassa,
la zavorra si abbandona nel parcheggio appena prima.
In fila indiana, nell’equivoco del gelo, ci accoglie la sabbia.
Cosa accadrà, cosa non accadrà, non ha alcuna importanza.
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