di Vito Tripi
Il panorama dell’horror letterario nostrano negli ultimi anni si è arricchito di firme sempre nuove, specie tra i giovani, dimostrando che anche nel Paese del Sole esiste un’anima “lunare”.
Tra i nomi più quotati spicca quello di Ian Delacroix è stato collaboratore, in qualità di redattore e articolista, di diversi tra i maggiori siti di genere (The Gate - il Cancello, Scheletri, LaTelaNera) e con la rivista Necro.
Esordisce con la raccolta di poesie Erato Svelata nel 2004; nel 2007 escono autoprodotte due sue raccolte di racconti: (De)Composizione di Viole ed Epifanie.
Con Edizioni XII pubblica nel 2007 la raccolta di racconti Abattoir ed è tra gli autori delle raccolte TaroT - Ludus Hermeticus (2007) e Archetipi (2009). Nel 2010 ha contribuito alla raccolta Carnevale con la traduzione del racconto di Michael Laimo e con una cornice narrativa.
Di recente è uscito il suo nuovo romanzo: Il Grande Notturno, di cui abbiamo parlato in Autunno Zombi, opera quanto mai interessante che lo consacra nell’Olimpo degli autori horror. Di seguito uno scambio di battute con l’autore.
Parliamo un po’ del Grande Notturno: un essere che suscita odio ma al contempo pena…
Il Grande Notturno è una figura complessa, e non può che suscitare sentimenti complessi.
Se una persona guarda solo le conseguenze delle sue azioni ha (comprensibili) reazioni di sconcerto, rabbia e disprezzo. Ma chi, come Elettra, decide di spingersi oltre, scopre un mondo, e le sue sensazioni diventano contrastanti.
Non si può comprendere una creatura sub/sovran-naturale, ma si possono intuire le sue motivazioni più profonde, solo se si osa guardare oltre la superficie delle cose. E allora non è più l’odio che domina l’osservatore, ma una struttura più intricata. Non si può non provare compassione quando si osserva la grandezza della tragedia che si riflette negli occhi e nelle azioni del Grande Notturno, si può solo avvertirla e analizzarla come un lutto che non ci riguarda da vicino. Una creatura finita come l’essere umano non può concepire il peso dell’eternità, può solo vagheggiarlo, ma non riuscirà mai a comprenderne le dinamiche. Da questo contrasto/impossibilità di comprendere, nasce tutto un sotterraneo di sensazioni molto umane, molto vive.
Con gli zombi in quel di Milano finalmente abbiamo sdoganato l'Italia dalle scempiaggini di Fruttero&Lucentini?
Purtroppo no.
La strada è ancora lunga. I decenni e decenni di lavaggio del cervello in lettori, autori, editori si faranno sentire ancora per molto. Noto con piacere tuttavia negli ultimi anni, accanto ad autori che scimmiottano penosamente gli americani, la tendenza di alcuni autori italiani di horror e fantastico a osare, di parlare con una voce propria, dei propri mondi e della propria terra. Se si vuole che le cose cambino, il cambiamento non può che partire dagli autori stessi.
Cos'è l'Orrore per Ian Delacroix?
È una domanda troppo ampia e complessa per fornire una risposta che non annoi.
Quello che mi affascina dell’orrore è la sua potenza creatrice/distruttrice. Nella letteratura, nell’arte, nella vita, mi interessano realtà non-consolatorie, provocatorie, in grado di sradicare le abitudini e le certezze.
È nell’orrore che si annida la bellezza, nascosta, privata, profonda.
Non c’è sensazione più intensa, più totalizzante, di quella suscitata dal Sublime.
Cosa vuol dire essere uno scrittore horror in Italia?
Significa essere consapevole di rappresentare una nicchia.
Significa seguire la propria passione.
Significa guardare dove altri non osano spingere lo sguardo.
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