Io sono qui,
seduta sulla mia panchina
con la valigia aperta.
Prendete ciò che serve
dalle impronte degli uccelli.
La musica è nel volo,
così di questo inchiostro
e dei miei fogli scritti
vi resta la palude.
La mia poesia morrà,
o in vero resterà
fruscìo per le foreste.
Io mi trasformerò in respiro,
la terra taciturna di un sentiero.
Prendete quel che serve,
con false luminarie alla memoria,
andate avanti voi
coi nomi sui giornali.
Io resto in cima ai rami,
stringendo la poesia
che m’appartiene,
che non mi dà riposo
che pesa come il sangue.
In bocca ora ho anche il mondo,
un mondo che va male,
che mi fa gli occhi bui,
che vuol crollarmi addosso,
ma è un mondo che non grava
sui miei fianchi,
o sulle spalle nude.
Io sono evanescente,
mi vede solamente
il passo altalenato
del cieco col bastone.
Prendete ciò che serve
da casa dei defunti.
Sputate sui fratelli,
spartitevi i denari,
fondetevi i gioielli.
Andate all’ospedale
chiedete se c’è un cuore
che in voi possa calzare.
Andate da un guerriero,
chiedete se coi soldi
possiate mai acquistare
la stima ed il rispetto,
oppure l’umiltà.
Io son seduta qui,
la mia valigia è aperta,
nessuna resistenza,
prendete ciò che serve
dall’ombra di una bimba
che immobile vi fissa
seduta sopra ai rami.
Quando capisci che tutto ciò che ti serve lo porti già dentro, diventi invincibile. E nemmeno serve più combattere.
strano come oggi, mi ritrovi a scrivere le parole delle canzoni di Battiato, ma tant'è che sono qui, appena smessi i panni del lettore a canticchiare come in risposta queste sue liriche:"... più diventa tutto inutile, più credi sia vero...".
Tempo addietro mi scoprii affine alla figura dell'albero, al suo cosmo fatto di prendere, trattenere e donare, un donare fatto di linfa, legno e fiori, frutti ed infine foglie; per poi forse arrivare all'ombra che concedo ultima nel fuoco che farà di me cenere; rendendomi dipsettoso bambino di un attimo eterno ed etereo.