(Storia di un semplice Mercoledì) 

 

 

Da un po’ di giorni sento uno strano dolore alla testa, da un po’ di giorni, almeno credo.

Un dolore intenso e opprimente, come se le pareti della mia scatola cranica mi stessero pressando il cervello, provocando un notevole senso di nausea e sbalzi di vertigini, tutt'altro che socievoli.

Sarà che sta cambiando il cielo, quella striscia piatta incolore che a stento riesco a scorgere dietro i piccoli fori rettangolari delle serrande abbassate. Sarà che sta cambiando la stagione, me ne accorgo dal suono del trio di aspirapolveri del piano di sopra, dell'appartamento accanto, dei martelli pneumatici di quei maledettissimi lavori in corso qui davanti, quando la primavera fa uscire allo scoperto tutti gli animaletti lavoratori del pianeta.

Tutti tranne me ovviamente, immune alle stagioni, se non per i frequenti mal di testa.

E quel martellare infinito...

...dio, se dovessi calcolarne il tempo direi che sono li da quando ho preso coscienza della realtà. Riesco a sentirli anche adesso, sono sempre li, all'incrocio della via grande giusto sotto la mia finestra chiusa, non so se sia notte, forse non mi sono ancora svegliato stamattina.

Forse non mi sono mai addormentato.

Tuttavia so per certo di aver risposto alle mail del mattino, allora si, dovrebbe essere mattina anche adesso, credo. E credo di aver anche cancellato tutte le newsletter progettate per un buongiorno solare, si una sorta di buongiorno formalmente amichevole, ma le mandano dei sistemi automatici alle 3 o alle 4 del mattino.

Forse hanno un doppio senso...non saprei.

L'indizio di aver risposto alle mail non significa che io mi sia alzato dal letto: mi regalarono apposta qualcosa come un telefono factotum per poter essere presente in qualsiasi momento da qualsiasi luogo. Essere presente li dove vivo, li dove è la mia unica realtà, li dove non esistono stagioni e dove non esiste altro che un nome inventato per permettermi di partecipare alla vita.

Ho scoperto di avere delle dita sottili e in gran forma, altroche, forse sarei stato un buon musicista, invece di finire qui.

Ma qui dove?

L'ultimo giorno che ricordo di essermi dato una guardata allo specchio non pareva essere rimasto granche, a parte il rilievo degli zigomi impalliditi da un flebile neon che confondeva ciò che restava del mio viso, di quegli occhi gonfi di animazioni digitali e perturbazioni multimediali, il risultato di 24 ore di un milione di amici in una stanza da solo, ingloriosamente ripetuto all'infinito, giusto per non farsi dare dell'asociale.

Che poi da chi? Basta cliccare ignora, invisibile, elimina, quello che ti pare.

L'indispensabile reputazione artificiale a portata di semplice click.

Non è stato così difficile notarlo, accettare che l'universo delle relazioni sociali si snodi meglio attraverso delle elementari funzioni meccaniche rese pratica vera e propria, come dovrebbe essere nella vita reale in fondo: ma qual'era? La vita reale intendo, se esisteva una vita reale prima. Ma certo che esisteva: era esattamente a un passo dietro quella porta, quella che non vedo mai dietro le mie spalle, nascosta dallo schienale di una poltrona di pelle logora che rubai in ufficio il giorno dopo il mio licenziamento.

Allora si che c'era una vita...

...triste e degradante si, quattro mura di stanzone bianco optical che appassivano ogni inverno, che non brillavano mai neanche d'estate. Si ma c'erano, erano vere anche quelle mura. Erano vere le calze rigate della segretaria venuta dall'Est, erano vere le lancette di un orologio che a stento percorrevano mezzo giro fino alle 18:00 per permetterci di uscire all'aria aperta, di consolarci in fila alla ricevitoria del "ritenta e sarai più fortunato"...

...di assaporare il sole giusto quei cinque minuti prima di chiudere lo sportello della macchina per due ore o giù di li, esorcizzando il giorno con una playlist intramontabile nello stereo, mettendo in coda i nostri stop come formiche rosse illuminate.

Cosa c'era di più vero se non gli occhiali di un'impiegata incollati ai depliant dei paradisi turistici, alle vetrine rifugio delle agenzie di viaggio, quegli inferni preconfezionati a pagamento, la dipendenza dalle crociere e dalle isole dai nomi ridicolmente esotici...

...cosa c'era di più autentico?

Adesso invece ogni giorno è mercoledì: non è iniziata da troppo la settimana come non finirà troppo presto.

E sono sempre tutte le ore del giorno...non esistono spazi di tregua calcolati per andare in bagno o prepararsi da mangiare, dormire o uscire.

Mi dissero appunto che non avevo più bisogno di mettere piede fuori di casa, mi coprirono di soldi per stare qui davanti tutto il giorno e spesso, troppo spesso, a non fare nulla, assolutamente nulla. Mi daranno più soldi in futuro se continuo così, ma già di questi non so cosa farmene.

Mi sveglio ancora, c'è silenzio...ma è solo nella mia testa.

Che giorno è oggi? Mercoledì? Che notizie ci sono? Le stesse di ieri?

A volte ho pensato di essere in grado di prevedere il futuro, di sognare quello che avrei visto il giorno dopo sui primi titoli delle testate on line, ma realizzai ben presto che si trattava sempre e solo delle stesse notizie di ieri, identiche a quelle di domani, come se il mondo intero si fosse ormai paralizzato e ridimensionato alle regole e i colori di questo monitor.

E poi un giorno invece, credo sveglio, mi sedetti proprio qui davanti e non si accese.

Non si accese nulla, neanche una lucetta, una spia, non si accendeva più niente in tutta la casa. Sentii delle voci dall'altra parte della porta d'ingresso e attraverso lo spioncino notai una conversazione sul pianerottolo: erano stati loro, quei fottuti lavori in corso qui davanti.

Dio li maledica in eterno!

Potrei sperare in un po’ di connessione nel parchetto qui sotto, pensai, quello dove i bambini giocano cercando di schivare abilmente i bisogni dei cani, ignorati per sempre dai loro padroni. La batteria del factotum era scarica, probabilmente si doveva essere interrotto il caricamento durante la notte...quindi doveva essere notte, credo, quando è successo tutto. Ne avevo una di riserva, più pesante, per casi come questo. E quella era la prima emergenza da quando iniziai a vivere così.

Dovevo uscire di casa.

Ma suvvia, non era certo la prima occasione, perchè quel senso di angoscia snervante?

Almeno una volta al giorno, credo, cercavo una scusa per poter mettere piede fuori di qui, per nascondermi sotto un cappello fuori epoca o dietro le spesse trincee delle mie lenti scure, magari in cerca di una spesa ridicola al Golden Discount, di un pacchetto di sigarette per gonfiare la tasca del jeans, di cambiare un po’ di spiccioli e sentirli tintinnare fastidiosamente quando camminavo, quasi stessi cercando quel minimo di umanità rimasta ancora dentro questo corpo.

Anche solo respirare a volte.

E Dio se faceva caldo, mi pare , un caldo insopportabile li sul prato bruciato: stesi un panno sopra la testa per proteggermi dal sole, dondolando confusamente sulle gambe intorpidite, cercando di inclinare al meglio lo schermo del factotum per capirci qualcosa sotto la pioggia accecante del sole.

Quando ecco che...

"Ma sei finto o cosa?" mi disse, "hai una faccia così bianca. Hai anche una voce?"

Mi svegliai ancora...e le mie caselle mail stavano esplodendo.

Ero stato li davvero, oppure no?

Ero stato li davvero...

...o avevo solo sognato tutto? Cercai un indizio, una traccia, un appunto, qualcosa che giustificasse che c'ero andato davvero li. Le batterie del factotum erano cariche entrambe, forse le avevo ricaricate in vista di una nuova passeggiata improvvisata. Si ma quando? Avevo già calcolato tutto? E i vestiti...forse c'era qualche segno. I vestiti sembravano sporchi.

I vestiti sono sempre sporchi.

Mi svegliai che ero davanti a questo monitor e avevo legato al polso un braccialetto colorato, di tela forse, di qualcosa che mi infastidiva ma che mi attraeva allo stesso tempo, imprigionandomi in lunghissimi sguardi completamente offuscati da un vuoto mnemonico incolmabile.

Sembrava una di quelle stronzatine fatte a mano, da mercatino... ma se fosse stato per me l'avrei comprata on line.

On line, si, funzionava di nuovo tutto, sognavo ancora le notizie di domani, completamente in balia del mio ritmo indisciplinato e anti salutistico. Andava tutto bene insomma, tutto normale e poi...

...e poi cominciai a sentire la pelle bruciare, scoprendomi arrossato sulle mani e sul naso.

Dormii nuovamente di giorno e mi risvegliai al punto giusto della notte per stare ancora qui davanti.

"Sembri un cadavere. Perchè non ti levi quegli occhiali da sole?"

Gli occhiali! Quei dannati abissi di vergogna, ce li avevo ancora addosso, non li avevo più tolti, ma da quando? E soprattutto, da quanto tempo non mi guardavo allo specchio per rendermene conto?

Mezza giornata, due giorni, una settimana?

Ho parlato con qualcuno, mi sembra...un lui, una lei, la voce sembrava femminile. O si trattava solo di un video che mi era passato davanti agli occhi per caso?

Io non conosco praticamente nessuno nella realtà.

Che giorno era, mercoledì? E oggi invece?

Lo strombazzare di clacson assordanti accompagna la sveglia ad un orario qualsiasi, ritrovandomi sempre qui davanti e con le dita ben piazzate sulle lettere, quasi stessi aspettando di scrivere qualcosa a qualcuno, di vedere se c'è qualcuno dall'altra parte dello schermo, qualcuno davvero, al di la dei nick evanescenti che mi salutano continuamente.

Qualcuno chi...lei?

O Gesù stampato sui pilastri di cemento della sopraelevata, la porta usb del cielo, la dose di metadone giusta per chiudere definitivamente la partita con la nuova metà di se stessi?

Ma di cosa stavo parlando...e perchè ci sono due gardenie arancio sul tavolo?

Meglio rispondere alle mail, meglio controllare le notifiche, meglio navigare senza vento.

Per sempre.

E guardando oggi per caso le piaghe delle dita ormai invecchiate mi rendo conto finalmente che c'è un segno, un nome su questa stringa ormai incolore che porto ancora legata al polso, un nome illeggibile e degradato dal tempo...da così tanto tempo da poter riuscire a contare tutti i capelli che riempiono lo schienale di questa vecchia poltrona logora, ultimo giaciglio delle mie ossa ancora ridicolmente legate fra loro. E solo adesso capisco, ora che qui si stanno esaurendo ormai tutti i mercoledì che mi restano da vivere: solo adesso comprendo che dall'altra parte dello schermo non morirò mai...

...che non perderò mai un capello e arriveranno sempre questi banali auguri di natale automatici da parte dei dieci milioni di contatti che ho accumulato in tutti questi anni.

I miei datori di lavoro saranno morti soddisfatti probabilmente, rimpiazzati da altri più giovani di loro che richiederanno la mia anzianità on line a peso d'oro, la mia saggezza al di la dello schermo.

E visto che solo quello è stato il traguardo di questi anni buttati e strappati a quel che un tempo era forse la realtà, ho deciso di regalare la mia vita inviando in risposta a tutti con gli auguri di natale i miei username e password.

Mi alzo stanco, spengo il monitor...Shut Down.

Adesso non esisto più.

C'è un solo luogo che ricordi ormai nella mente priva delle sue catene, finalmente...

...un solo luogo.

E sedendomi sul prato ghiacciato in una stagione poco ospitale noto una scritta sbiadita su una panca vicina, dai testi e nomi incomprensibili, ma dalla calligrafia in parte molto simile a quel che era la mia un tempo, suppongo. Mi si spezzano le dita al solo contatto con questa pietra gelida invernale, scorrendone la superficie ruvida alla ricerca di sensazioni ormai dimenticate, riconoscendo almeno una data: giovedì 12 maggio di non si sa quale anno, 2000 qualcosa, forse.

Avrò sognato troppo a lungo da allora, rinchiuso fra le pareti del mio monitor.

Avrò vissuto l'ultima scintilla di realtà quel giorno, qui nel parco, non riconoscendola affatto, sapendola buttare via, ignorare brutalmente, seppellita dall'apatia della mia non esistenza...dimenticandomi di me stesso per vendere l'anima a una divinità poco celeste, abbandonando gli ultimi respiri sulla polvere della porta di casa mia....

...quella porta che non sono riuscito ad aprire mai più davvero.

Che giorno è oggi? Mercoledì?

Non più.

 

 

 

N.A.

Nevrotico Alchemico
Nevrotico Alchemico
Scienziato alchemico dedito alla sperimentazione libera degli incroci nati fra le parole e i diversi status emozionali. Girovago senza meta, studio i caratteri delle persone e le loro relazioni con il degrado moderno degli ambienti circostanti, cercando di estrapolare il filo conduttore che porta alla reale natura di come siamo diventati...e del perchè spesso e volentieri non ci va bene neanche un pò.

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14 Commenti

  1. Interessante e surreale (oppure no???) 🙂

    • La dimensione che dai tu alla realtà ti fa capire che il surreale non esiste.

      potrebbe essere un'idea...anche se in questo caso, sai, si trattava di quell'universo artificiale che osserviamo tutti i giorni fino a farci dimenticare di noi stessi...

      ...e farci trovare improvvisamente da un altra parte.

      Ti ringrazio molto per le parole e la considerazione...

  2. una vita relittuale che scivola via a singhiozzi sullo specchio che separa reale e irreale
    semplicemente grande...
    ma esiste poi la realtà?
    o meglio, quante realtà esistono?

    • Esistono tutte le realtà che sei in grado di concepire, un po come quella storia della realtà come molteplice manifestazione del pensiero soggettivo, qualcosa di simile penso.

      In questo caso era proprio la vita reale a distorcersi, fino a sembrare qualcos'altro.

      Grazie del commento e del dubbio sollevato...interessante discuterne...

    • Ti ringrazio bella, sei gentile come sempre.

      A volte ho l'impressione di stare girando in cerchio...ma non lo so.

      Ci sono troppi mercoledì davanti ancora mi sa...

  3. Uno di quei mercoledì troppo lunghi che ci sono tutti i giorni, che ti accorgi che il tempo perso esattamente non sai dove è andato a finire

    • Crediamo di averlo vissuto noi stessi ma in realtà non ci spostiamo nemmeno di un millimetro navigando senza vento, come scrivevo un po su.

      Sai, il mercoledì mi ha sempre affascinato per quella sua noiosa collocazione a metà settimana, se di settimana lavorativa stiamo parlando, appunto...

      grazie delle parole giuseppe

  4. surreale... presa dentro alla prima riga e uscita ora. La porta dietro le mie spalle.

    • Mary, ti ringrazio come sempre, ogni volta che mi scrivi qui penso sempre di aver fatto qualcosa di buono...

      ,..ma spesso cado dall'altra parte della medaglia, pensando che tutti questi specchi che cerco di descrivere forse facciano più male che altro, sai come quelle volte in cui si parlava di dipingere le situazioni, i racconti, queste cose.

      A volte ho un po paura di quello che scrivo...

  5. ...credo che quello che si scrive spesso debba solo liberare, semplicemente, una versione di noi che è inespressa o incompresa o che comunque in qualche modo ci opprime. Per questo spingersi all'estremo ci fa vedere, è vero, il fondo del barile, ma magari, visto che siamo li sotto, oltre a tirare su fango possiamo pescare anche qualche pezzetto di noi smarrito o mai conosciuto che forse ci fa avvicinare di più a quello che siamo veramente. Viva il fango. Ne bene ne male saranno, da soli, mai sufficienti a descriverci.

    • Si, potrebbe essere considerata la libera espressione di ognuno, proprio per questo dipende da cosa vuole esprimere.

      ci sono i casi più ottimisti come quelli più pessimisti, è vero, ma non per questo la loro identità deve sfociare nella stessa direzione.

      Mi spiego, ci sono quei caratteri pessimisti che puntano al positivo, come quelli ottimisti che puntano al negativo...anche quando uno non se ne accorge affatto.

      Decidere di esprimersi o meno poi, quello è puramente disinibizione e comunicazione...con un fine random o inesistente,

      che ne dici?

  6. credo che possa cambiare qualcosa se uno scrive, o si esprime in qualsiasi modo senta di fare, per se stesso o se lo faccia pensado ad un confronto con altri contenitori di cervello. Se si scrive solo per liberarsi, qualsiasi cosa ha significato, qualsiasi cosa "è" di per se perchè con un pò di sforzo si può arrivare ad essere veramente spontanei e liberi. Se l'obbiettivo è invece comunicare allora si tende a dare anche allo sfogo un fine o comunque a cercarlo, alla fine del vomito. Si scrive su un binario, che forse però a volte è anche più stimolante. La vera libertà forse si scopre solo dentro i nostri limiti.
    ...riguardo alle tendenze naturali, per conoscerci penso sia utile cercare di usare più vie e più modi, a volte anche snaturandoci, cambiando ad esempio stile di scrittura, tono, obbiettivo. Così troviamo il nostro limite, così troviamo la nostra libertà. Altrimenti si diventa ripetitivi. Io spesso non finisco le cose perchè a volte mi stufo di quello che faccio anche nel mentre, quando vedo in lontananza la fine già gli stimoli cadono. E' anche questa una malattia...

    • Non è scrivere o meno, dipingere, scolpire o suonare il problema, puoi fare da zero a cento come e quanto vuoi.

      Metter all'esterno poi, quello è tutto un altro universo,.


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