Sono una persona timida e schiva e il mio modo di vestire e di rapportarmi agli altri trasuda understatement da tutte le parti.
Non sono una che teme, ma una che spera di fare tappezzeria. Una che non vorrebbe mai svenire in mezzo a una piazza dove tutti la vedono e la possono raccogliere. Meglio in un sottoscala buio dove ritornare in sé in solitudine.
Ma questa mattina mi sono detta: «E se trovassi il coraggio di farlo?»
In fondo potrei provare a vincere i freni inibitori e a spazzar via i pudori in cui sono impantanata da sempre.
Certo, ormai la freschezza se ne è andata - come dire - a farsi fottere, e potrei anche apparire patetica e fastidiosa, ma se il binomio imprescindibile di coraggio e occasione mi si presenta solo ora, che faccio? Lo ignoro per poi mangiarmi le mani quando sarò decrepita e non avrò più uno straccio di chance?
Chiamatelo, se vi pare, il canto del cigno.
E poi, che rischi corro?
Le persone davanti alle quali mi produrrò non mi sono né parenti né conoscenti, non è gente dall'aspetto innocuo e dalla lingua velenosa, gente che tra un neo e l'altro vede solo magagne.
Forse alla mia esibizione proveranno la sana curiosità di chi, prima di condannare, è aperto a tutto perché nella vita non si sa mai.
Li guarderò negli occhi a uno a uno quei volenterosi e cercherò di decodificarne espressioni e sguardi. Veglierò sul sopracciglio che s'inarca, sull'impercettibile alterarsi della linea delle labbra, su ogni accenno di borbottio... E se sui loro volti troverò scritti i limiti della mia performance, se il mio patetico fallimento sarà inequivocabile e le mie velleità calpestate, potrò sempre defilarmi signorilmente per malattia, stress, lutto familiare...
Qualcosa di sicuro mi verrà in mente.
Certamente ci sarà almeno un'altra donna come me pronta a mettersi in gioco; forse di razza più spavalda, e non proprio una novellina. «Ho già fatto questa esperienza l'anno scorso, senza ottenere grandi risultati. Ma non demordo, e ci riprovo perché ho imparato molte cose e non vedo l'ora di metterle in pratica» dirà di sicuro.
E io cercherò di temporeggiare, le lascerò spazio, farò in modo che l'attenzione si concentri su di lei, così quando sarà il mio turno nessuno si aspetterà faville.
Ma non è perfidia. È tattica, la mia.
E poi mi saprò buttare. Vada come vada.
Mi svelerò a poco a poco lasciando agli altri il compito di cogliere e interpretare luci e ombre.
Butterò alle ortiche il riserbo e sarò tante creature diverse scaturite dallo stesso germe.
E se fallirò mi consolerà il pensiero che, se il dono non ce l'ho adesso, molto probabilmente non lo possedevo neppure quando avrei potuto farne la mia ragione di vita.
Ma se qualcuno dovesse apprezzare la buona volontà e il risultato dei miei sforzi, allora - mi duole dirlo - non si sbarazzeranno di me tanto facilmente.

Mi osservo allo specchio con occhio critico: pantaloni a sigaretta e maglioncino nero a collo alto che fa' tanto rive gauche, scarpe basse per il comfort dei piedi e capelli alla dove vanno vanno perché quel che conta è lo sguardo profondo e intelligente.
Sono pronta: posso affrontare la lettura del mio racconto al corso di scrittura creativa.

MariC
MariC
Nessuno capisce fino in fondo i propri abili sotterfugi, messi in opera per evitare l'inquietante ombra della conoscenza di sé. (J. Conrad)

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3 Commenti

  1. Ahahhh... ma che finale a... sorpresa direi... meravigliosa MariC davvero meravigliosa e sorprendente.... 😉

  2. Eh si, questi corsi di "scrittura creativa" fanno quest'effetto sulla gente...

  3. Ci hai confuso le idee col titolo ahahah. Il finale inaspettato mi ha strappato un sorriso!
    Brava!


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