Non è facile vivere in trincea.

E non ricordava più l’ultima volta ch’era stato altrove.
Mangiava fango, ma non stava lavorando la terra, i miasmi nauseavano l’olfatto all’anima, ma non erano bestie nella stalla, quelli, erano sospiri di morte, quando non sai dove archiviare i compagni forati, e la sopravvivenza t’illude d’essere invincibile a qualsiasi vessazione.

I giorni d’attesa, la calma snervante fra una battaglia e l’altra, erano interminabili susseguirsi di pensieri, congetture, riflessioni più o meno cesellate dal grado d’istruzione elargito dalla madre che premiava i suoi figli, sopravvissuti al macello che lei stessa aveva loro assegnato.

“Marzio…dormi?” per un istante dilatato dalla gelatina del sogno, quella voce fu la sua donna che, nel mezzo della notte, reclamava un calmante alle sue voglie, un’attenzione particolare, delicata, decisa e strappata a una familiare civiltà che la relegava al ruolo di signora e padrona del focolare domestico, sfigurandone ignea femminilità che, assoggettata alla potenza maschile, risaliva in fiamme più alte riducendolo a mero apice, irrinunciabile, se possibile, piacere, o nel peggiore dei casi dimostrazione di resistenza e sudore devoto.

Si svegliò di soprassalto, riconoscendo il tono virile, disorientato fra una domanda e un allarme repentino durante il quale avrebbe dovuto riordinare quanto prima ogni senso per essere vigile.

“Tutto ok. Ci sono. Non dovrei addormentarmi profondamente in questi momenti” fu la risposta.

Al suo fianco vide nella penombra un cenno d’intesa, si tirò su e cacciò fuori da una tasca del tabacco nero con cui s’arrotolò una sigaretta: “Vuoi?”

“No, grazie, fumato poc'anzi”.

Aspirò e sentì la gola bruciare, ma c’aveva fatto l’abitudine, non era diverso dall’aria arsa di polvere e ferro.

“Vuoi parlare?” rilanciò.

“E di cosa? Che la tua vita era migliore prima di questa merda?”.

“No. Se ti dicessi che stavo meglio prima della guerra mentirei, perché ora posso dirti che rimpiango la mia vecchia condizione, ma allora, non avendo provato questo disagio, ti avrei detto che era uno schifo allo stesso modo” e diede un’altra boccata.

“Complimenti…hai una gran testa!” e scoppiò in un riso sommesso, amaramente beffardo.
“Vedi, allora tutto mi pareva così irrimediabilmente piatto da desiderare uno sconvolgimento epocale, qualcosa che, a costo di un sanguinoso tributo, potesse dare un senso, una ragione alle nostre esistenze. Puoi prendermi per folle, ma ci credo ancora. Ho una concezione così labile del mio essere che qualsiasi accadimento potrebbe portare migliorie o, senza tanti compromessi, farci tornare all’anonimato del nulla” e distese le gambe in un moto di soddisfazione per la ritrovata lucidità.

Il commilitone sollevò un angolo della bocca e l’osservò sornione senza ribattere. Si limitò a sbadigliare e a puntare dall’altra parte, cercando di distinguere nell’oscurità qualche movimento sospetto. Afferrò il moschetto, ma quasi subito lo ripose.

“Ti capisco perfettamente. Sei un combattente pressoché perfetto. Mica per la forza, quella non è mai costante e, se devi cadere, non può servirti in ogni caso. È la tua idea che poggia su solide fondamenta d’egoismo. Non fraintendere. Non troverai mai un senso, neppure dopo mille guerre. Dovresti ammetterlo a te stesso. No, sbaglio, non ascoltarmi, vai bene come sei: insoddisfatto, ingrato alla tua esistenza, superiore perché non riesci a figurartela come la maggioranza degli uomini. Resterai per sempre in trincea” e si rannicchiò.

“Che fai…dormi!?” lo apostrofò Marzio “Dai, rinfrescati le fauci”.

“Stai scherzando? Quella roba ti stravolge il cervello. Lascia perdere. Stai all’erta”.
La terra si spalancò al cielo stellato con un boato in lontananza.

“Ci siamo” sibilò Marzio accantonando il vetro.

All’unisono la fossa andò in fermento, le canne spuntarono come spine dal solco, ma nessuno prese iniziativa prima del segnale.
Sembrava essere un episodio isolato.

“Non posso darti torto” riprese Marzio mentre affondava l’occhio nel mirino “Vengo dal futuro…te l’ho mai detto?”.

L’amico lo guardò di sbieco e rispose: “Allora era meglio se non ti svegliavo”.

La persero, ma le retrovie erano pronte al peggio –

Marco Gasperini
Non sono io, scimmia ammaestrata, il solito disperato buffone, spirito invernale sconfitto dall’enigmatica primavera del cuore in codice - Se la notte incombe, dammi l’illusione di un puerile mattino.

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2 Commenti

  1. “Vuoi par­lare?” rilanciò.

    “E di cosa? Che la tua vita era migliore prima di que­sta merda?”.

    “No. Se ti dicessi che stavo meglio prima della guerra men­ti­rei, per­ché ora posso dirti che rim­piango la mia vec­chia con­di­zione, ma allora, non avendo pro­vato que­sto disa­gio, ti avrei detto che era uno schifo allo stesso modo” e diede un’altra boccata.

    Geniale questo passaggio!

  2. ...l'uomo non si accontenta quasi mai della sua condizione e valuta il bene, quasi sempre quello che gli è sfuggito dalle mani, col metro delle sofferenze presenti..ti ringrazio 🙂


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