Si è addormentato su quello che chiama divano.
La presa della mano destra si è allentata, la lattina è rotolata sul tappeto e ha raggiunto le altre.
Un po' di birra è sbrodolata sui peli di gatto intrecciati con quelli rimasti del tappeto, un vecchio tappeto comprato a Marrakesh negli anni migliori. Lo ripete spesso sfregandoci sopra i piedi nudi: «Ah in Marocco! Là sì che...»

Una macchia di saliva si allarga sotto la bocca. Si nota appena in mezzo alle altre, quasi tutte grasse e scure.
Conosco la storia di ognuna.
Pasti surreali, sdraiato con me in grembo. L'unto che cola fra le dita, lui che le sfrega sul divano e le riporta su di me ancora lucide. E mi lascia il segno ogni volta.

Di solito mangia carne, ma beve di tutto: birra, vino, whisky, gin...
S'ingozza persino della carne in scatola di Astronascente, il gatto che perde i peli sul tappeto. E Astronascente lo sa che è sua quella carne. La riconosce dall'odore e per dispetto si rifà le unghie sui resti del tappeto comprato a Marrakesh.
Di solito lui non se ne accorge, ma ieri lo ha visto e gli ha mollato un calcio nella pancia col piede nudo.
Non accetta la vendetta di un gatto.

L'aria è sempre pesante: lui non la cambia mai. Anch'io puzzo di hamburger bruciato e di fumo, come il divano e il gatto. Ma lui non sente più nulla. Anche se non sniffa coca da un bel po', ha le narici marce.
Esisto da abbastanza tempo da avere un quadro chiaro della situazione. E' sempre la stessa. Non posso fare confronti, ma non mi convince per niente. Mi piace credere che ci sia di meglio.

Ora russa. E' piombato in un sonno profondo. Lo so per certo perché Astronascente gli sta leccando le dita che sanno di birra e lui non lo sente.

Ce l'ha con me. Non ci vuole un genio a capirlo.
«Io ti ho creato e io ti distruggo» ha detto in un delirio di onnipotenza. Me l'ha urlato con l'alito che olezzava di vino scadente. Non ha soldi per comprarne uno decente, altrimenti lo farebbe. Può mangiare senza problemi le schifezze del gatto, ma il vino da quattro soldi gli pesa.
Per me non fa differenza. La puzza è puzza.

Mi ha fatto volare.
Ero sul divano, vicino al libro di Bukowski 'E così vorresti fare lo scrittore?'
Ha urlato: «E che altro? Che altroooo?»

Sono volato oltre la poltrona fino al ficus Benjamin. Mi sono sparpagliato sul parquet accogliendo su di me le ultime foglie. E' da una vita che non lo bagna e il riscaldamento gli ha dato il colpo di grazia.
Ha aperto una lattina, l'ha tracannata d'un sorso e l'ha lanciata nella mia direzione schizzandomi di Heineken.
Ormai sono asciutto, ma puzzo.
Prima di addormentarsi ha borbottato:
«Io a te ti brucio...»

In questa casa non c'è un camino.
Forse userà il gas da cucina e mi darà fuoco pagina dopo pagina.

Sarà un'agonia lunga la mia.
Bruciare duecentottantasei pagine di un libro mai finito non è uno scherzo.

MariC
MariC
Nessuno capisce fino in fondo i propri abili sotterfugi, messi in opera per evitare l'inquietante ombra della conoscenza di sé. (J. Conrad)

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5 Commenti

  1. Adoro il tuo modo di scrivere! Le parole scorrono nella mente come l'acqua fresca scorre in gola in un giorno d'estate!

    • grazie, sei troopo carina 🙂

    • grazie Michela 🙂

  2. grazie, sei molto gentile 🙂

  3. Bel racconto....l'altro giorno sul giornale pubblicavo un Aforisma del caro ubriacone con quella stessa foto che hai messo te...


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