L'uomo in fondo al pozzo

L'uomo in fondo al pozzo

Racconti Pikadilly

Entrai in camerino con i miei fogli pieni di ferite sanguinanti.
Un'altra storia deceduta sulla punta della penna.
“La trama può andar bene, ma questi personaggi sono opachi. Puoi fare di meglio!”
Il suono di quelle parole mi appiattirono al muro. Guardai di nuovo i fogli e mentre contavo i loro squarci, lui entrò in camerino.
Lui, l'uomo che avevo incatenato nel profondo pozzo del desiderio affinché non disturbasse il mio lavoro e la mia scrittura. Eppure scrivevo per lui, ogni parola doveva grondare in una sua battuta o in un suo movimento.
Non disse nulla. Mi guardava. Non dissi nulla nemmeno io mentre lo sentivo risalire il pozzo richiamato da una voce che mi sfondava il petto per uscire.

Diretta ai miei occhi, la sua bocca trattenne qualcosa, poi il suo intero corpo mi rifiutò voltandosi, per ripuntarmi subito in faccia tutto quello che era.
Correvano, correvano veloci le sue intenzioni e mi si scagliarono addosso quando il loro padrone cominciò a camminare verso di me ed io disperatamente gridavo di no brandendo il silenzio come la più potente delle mie armi.

Tentai un passo indietro, ma il muro non mi fu amico e solo il respiro mi rendeva carne viva in mezzo ai quadri immobili. Il terrore si scontrava con un'eccitazione vulcanica e distorta.
In pochi secondi ebbi la sua bocca intorno alla mia, non la toccava, ma percepivo l'eleganza di quella resistenza e più mi rispettava e più non riuscivo a ricacciarlo nella gola nera.

“Adesso dimmi di no”, sussurrò con venti d'eccitazione che gli scivolavano via dalla pelle.
“Non posso...” continuavo a ripetermi mentre tentavo di non farlo uscire gettandogli sulla testa una tonnellata di dinieghi sui quali avevo concentrato tutta la necessità di vederlo andare giù.
Lui schiacciò il palmo della sua mano destra contro il muro spaventando i quadri. L'altra era pronta ad abbattersi su di me non appena le mie resistenze fossero scappate.
“Non ce la faccio più...io...io devo averti adesso...”
Tutto il suo corpo lo urlava disperatamente.
Tutto il mio corpo lo voleva disperatamente.
Era la mia testa, il mio lavoro, le mie storie per lui che mi ancoravano alla ragione, che frustavano tutto il bisogno di far uscire quell'uomo dal pozzo come un razzo.
Cercavo di trattenere il respiro per non riempirmi della sua aria che, come elio in un palloncino, mi avrebbe fatta volare per qualche giorno per poi scivolare via lasciandomi sgonfia e piena di rughe.
Non dovevo nemmeno volerlo e, per contratto, non potevo.
Mi aggrappavo ai quei “Non posso” sperando che gli arrivassero dritti come cazzotti, tanto forti da farlo schiantare nel fondo, mentre stritolavo i fogli dai quali potevo vedere i personaggi opachi guardarmi e sorridere come se fossero stati sempre suoi complici.

“Sai perché sono qui?”
Lo guardai mandando giù la risposta.
Trascinato dal suo stesso respiro, rispose lui per me:“Mi hanno sbattuto fuori dal set perché mi sono perso nelle battute. Ero eccitato mentre pensavo a quando le hai scritte e... se ne sono accorti...”
Quelle palle di cannone mi si conficcarono nel petto.
La sua voglia di fare l'amore mi pioveva addosso e non potevo aiutarlo, anche se in tutti i mondi possibili e gli universi paralleli era solo questo l'unico finale che volevo: assorbirlo nella pelle e sentirlo nuotare nel mio sangue.

“Ti prego, lasciati baciare...”, mi colse il viso mentre scansava altri millimetri tra di noi.
Inchiodò la sua bocca alla mia e io dovetti alzare le mani, togliere tutti i No dall'imboccatura del pozzo e lasciarlo fuoriuscire completamente.
Mi ritrovai con il sole in bocca e la sensazione di non poter sopravvivere se l'avessi spinto giù in mezzo a tutti i desideri che avevo gettato illudendomi di farli sparire. Tra tutti, solo lui ebbe la capacità di tornare indietro e di liberarmi.

Era obbligato a conquistare il mio mondo, lo sentivo ansimarmi dentro, lanciare urla al cielo e riprendersi la voce per dirmi che nella sua vita doveva fare solo questo per essere felice.

Mi immaginavo da fuori dipinta in lui, intravedevo la sua lingua affacciarsi dalla bocca mentre mi ripuliva da tutti i miei dinieghi. Non volevo più vivere, volevo morire in piedi con lui, in quel modo, in quel mondo dove c'era il mio corpo completato dal suo.

Era una mattina di Dicembre di tanti anni fa, fuori il freddo si intrometteva nelle ossa e le ore, avvolte nelle loro sciarpette di minuti e secondi, andavano senza accorgersi di noi, dei fogli che ci ballavano intorno e di me che dentro un qualsiasi camerino facevo dell'uomo uscito dal pozzo l'inchiostro della mia penna.

Ho iniettato quell'uomo e il suo calore in ogni storia che ho incontrato. Nelle lettere dei miei personaggi scorre il sapore di lui, come se fosse stato padre di ognuno di loro. E se mi volto li vedo ancora brillare.

Pikadilly
Caduta dall'albero nei primi anni '80, ho passato la mia infanzia costruendo castelli di persiane con mio fratello e archiviando conserve di pomodori con i vecchi di casa. Tra gatti, pallavolo e alberi di fico, sono cresciuta senza sapere bene perché, ma consapevole di voler imparare se non a volare, almeno a camminare senza rompere troppe scarpe. Amo il mio orologio da taschino, Guareschi e i colori della libertà che mia madre mi ha dipinto di nascosto negli occhi la prima volta che ci siamo salutate. Ogni tanto scrivo, ogni tanto disegno, ogni tanto cerco anche di non fare nulla, che è forse la cosa che mi riesce meglio.

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8 Commenti

  1. Carino!
    Ma allora tu riesci a raccontare/prosare di cose umane 🙂
    Io no (non te ne po' fregà de meno). 😀

  2. Ma magari!! 😀
    Grazie mille. 😉

  3. "pallioncini sgonfi...."

    "pozzi neri d'inchiostro..."

    "sole in bocca..."

    Non so se metterci un punto interrogativo o un interesse...

    N.A.

  4. Veramente notevole come sballottoli le parole e te le trascini appese a un filo come lattine dietro la spider di due sposi novelli.
    Incantevole.

  5. mi lasci senza parole. Si sono prosciugate. Forse se le è portate via l'uomo uscito dal pozzo. Erano tutte lì, nel racconto e io persa in un estasiato "ohhh"

  6. Vi ringrazio tutti, veramente.

    Questa è la prima volta che mi cimento con un racconto del genere...e anche l'ultima. Avendo la guareschite, riesco a scrivere cose serie per poche ore, poi devo tornare a ridere sia fuori che dentro il foglio. 😉

  7. emozionante...
    le immagini che si percorrono leggendo trascinano ad assaggiare senza scampo un susseguirsi di emozioni che non hanno tempo di fermarsi mai, come anche nella realtà accade.
    Ognuno credo che abbia o comunque dovrebbe avere una persona nel pozzo da cui estrarre la propria acqua, il proprio fiume.
    In fondo se non ci si esprimesse per qualcuno avrebbe forse senso?
    Se non si producesse voce, sotto qualsiasi forma, per condividerla, per urlare di noi e di quello che siamo attraverso i nostri desideri quanto durerebbe l'ispirazione?


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