Caffè sospeso

Racconti elllerre

Sai cosa è un caffè sospeso?

È una tradizione popolare.

Una di quelle piccole cose perfette che il mondo regala, così, perché gli va.

È un  caffè  ordinato e pagato per qualcuno che non c’è, che non vedi, con cui non parli, che non sa niente di te,

ma nella distrazione dei passanti, nel tintinnio di bicchieri e tazzine, il caffè sospeso rimane nell’aria, dignitoso e amorevole,  lasciando profumo di cose buone, di mani tese, di sono qui, guardami che  io sono qui.

E io lo faccio per te, tutti i giorni.

Tutti i giorni  cerco monetine nel mio cappotto, pezzi d’oro e d’argento che lascio in pegno come quando pregavo per avere te, e ordino un caffè amaro al vetro lasciandone a te uno sospeso.

Un caffè in tazza sospeso e amaro come il mio, amaro come l’idea di non vederti, di non parlarti, di non sapere niente di te,

te che non verrai mai a cercarlo perché l’amore è un po’ così, un caffè sospeso che non si deve mai bere.

E mentre il mio nero bollente riscalda le mani e la mente, il mondo si ferma intorno a me, al di là di questa vetrina punteggiata di gocce e neve, una separazione tra me ed il mondo esterno che è più una protezione, perché qui io parlo di te, e tutto deve essere illuminato come in un personalissimo touch screen in cui scorrono le immagini di te, di me, di visi e volti che non ho più o che verranno.

Pensavo, che è quasi primavera, pensavo che il sole spunterà tra le nuvole fra un pochino, farà capolino per illuminarci un po’ la strada come illumina me che pianto piccoli vasi di fiori per mantenere una promessa silenziosa, di andare avanti, di provare ogni giorno passione per qualcosa, e impegno e lavoro.

Mantenere promesse. Tenere per mano le promesse. Promesse nelle mani messe in tasca come monetine.

E in queste mani che frugano nei pensieri immagino mondi paralleli, auree di gente che è stata in questo cafè, ognuno con i propri guai, con le proprie certezze, ombre di gente e di passi che a volte risuonano delicati come la neve e come la neve si dissolvono al sole.

È una continua dissolvenza di storie, asciugate al sole, o perse negli strascichi delle scarpe di qualcun altro, di quelle che ti macchiano il pavimento come brutture di errori che puoi cancellare.

E così, il mio caffè rimane sul tavolino, insieme al giornale di oggi aperto sulla pagina dello sport, perché io leggo della tua squadra, ormai è un’abitudine, leggo marcatori, voti, cerco cose che leggerai anche tu.

Io non lo so come è che il mondo contiene continue allusioni a te, ma io ti ritrovo in tutto quello che faccio, e mi piace.

Io che in  te ci credo sempre, non in noi, in te, che è anche meglio.

Perché non è mai stata dipendenza, ma scelta.

Credo nelle tue mani, nei tuoi pensieri, negli sguardi posati ad osservare i dettagli, come facevamo insieme, credo che farai grandi cose, credo che tu abbia il sorriso più bello che vedrò mai in tutta la mia vita.

E non era tutto perfetto, no, c’erano cose che non mi piacevano, spigolature e curve che non si incastravano con me, ma era per questo che ti amavo così tanto, tu non ti incastravi con me, e andava bene cosi, non dovevamo cambiare niente, non c’era morale, non c’era benpensante ma solo confini da oltrepassare, mano nella mano, ed ad ogni passo cancellare linee, disegnare alberi e tracciare con il carboncino sorrisi nuovi. Sui volti di io e te.

Tu non ti incastravi e rimanevamo attaccati lo stesso come pezzi di puzzle incongruenti, un pezzo di sole vicino al pezzo di un orizzonte. E non era straordinario?

Nessuna velleità di grande amore, solo amore.

Ma tu volevi qualcuno che fosse istituzionalmente il tuo pezzo mancante. Che non ti venisse contro. Ed io non lo sono. Non lo sono mai stata e questo lo sappiamo entrambi. Io sono una che viene contro, o forse incontro. Non lo so.

Ti sembrava non amore e invece era la forma di amore più grande che conoscessi, passione per le cose, passione per te, era la vera rivoluzione dentro, dirti la verità, provare a capire.

A me andavi bene così, non mi piace questo ma ti amo. Forse dovremmo ma non importa.

Non ci siamo compresi, o forse non volevamo comprendere.

Comprendere sarebbe stato adattare questo noi ad una scatola troppo piccola per contenerlo.

Comprendere avrebbe significato darci un nome, un posto, una identità che non volevamo.

E non serve neanche parlarti da qui, non serve neanche immaginare, non serve a niente se non a prolungare minuti e secondi di sospensione nel vuoto, aspettando ritorni, aspettando di chiudere la porta, aspettando decisioni che non arriveranno mai.

Sospesi, come il caffè che ti lascio pagato ogni mattina.

Quattro monete in fila come il pensiero di te.

Ma eravamo noi quelli in ancora in piedi in quella strada, eravamo noi quei puntini visti da lontano, eravamo noi quelli che si sono presi a pugni fino a volersi definitivamente bene.

Ed ora siamo rabbia nei tuoi occhi e sempre cielo nei miei.

Ma io ti vengo contro anche qui, o incontro. Come ti pare.

Riprendimi nel cesto delle cose buone. Rimettimi nel cesto delle cose buone.

Ed io posso essere una che non ascolta, che interrompe spesso, che non sa dare consigli, ma io con te ci sapevo parlare e sapevo farci l’amore e che altro ci serviva?

Io arrivavo esattamente al centro.

C’è chi mi ha detto che non ho mai guardato nessuno come guardavo te.

E che altro ti serve sapere di me?

Esco fuori che c’è il sole, vado a piantare piccoli bulbi, speranze e passione per un amore che comunque c’è.

E immagino sempre che ti siedi al mio stesso tavolino, e ti sorprendi a trovare la pagina del giornale aperta sulla tua squadra, e poi ordini il tuo caffè, mai il mio caffè sospeso, ma il tuo caffè, come qualcosa che vuoi lasciare li,  qualcosa nell’aria che ti dica che ero qui, una specie di ombra, l’eleganza del dubbio di avermi visto.

Mantenere le promesse. Tenere in mano le promesse. Promesse nelle mani.

Come queste monetine.

Non mi aspetto che tu comprenda.

Mi aspetto che tu non lo beva.

Lasciami li, sospesa, che capirsi non è mai necessario.

Non per le cose straordinarie.

Un caffè macchiato da portare via e  un caffè sospeso” dico.

Quattro monete che tintinnano sul bancone, la porta che si apre, la vita che riprende. Me. Te.

elllerre
Sono fatta di farina e del profumo delle arance, di un milione di parole lasciate al sole e di nuvole calpestate. Sono fatta di pugni chiusi e di strade strette e in salita. Sono fatta di un fiume di città, di vento e di sorrisi aperti. Sono fatta di pensieri. Sono fatta di pancia.

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3 Commenti

  1. ...il sole spun­terà tra le nuvole fra un pochino, farà capo­lino per illu­mi­narci un po’ la strada come illu­mina me che pianto pic­coli vasi di fiori per man­te­nere una pro­messa silen­ziosa, di andare avanti, di pro­vare ogni giorno pas­sione per qual­cosa, e impe­gno e lavoro.

    Mi è piaciuta moltissimo questa immagine, davvero colma di speranza, nonostante un amore finito ci costringa il cuore e facciamo fatica a continuare. Ma poi verso la fine mi è sembrato che questa speranza lasciasse il posto solamente all'attesa di un ritorno e questo mi ha fatto tenerezza perché a mio avviso nessuno merita di restar "sospeso"...
    molto brava, complimenti!

  2. nessuno merita di restare sospeso, eppure ci sono situazioni che rimangono così per lungo tempo a volte per vite intere..,


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