Lei forse non era una donna. Era un arlecchino.
A cui ogni personaggio della sua vita aveva cucito una pezza di un colore diverso,
ognuno l'aveva vista in un suo modo, ed ognuno le aveva attribuito un senso.
Infatti aveva punti qua e là.
E in questo caleidoscopio maltrattato non l'aveva conosciuta nessuno.
Così, giocando ogni tanto si toglieva una pezza.
Perché i suoi colori erano molto più vivi.
Ed era bello scoprire la propria pelle e sentirne il profumo vero
ad ogni rammendo estraneo che andava via.
Che strano però.
Quelli che ti attribuiscono i loro frammenti di senso vestendoti come un arlecchino
di solito sono gli equilibristi.
Ci fu forse
un flauto stonato…
qualcosa di storpiato…
scale sospette che
non reggevano i passi
ma rubavano il fiato.
E passi…
troppi passi falsi…
un velo rinnegato.
Un cielo terso
troppo presto
smarrito…
un abbraccio grato
e già scolorito…
più di mille giorni
su di un foglio perduto.
E poi
all'improvviso
ritrovare
qualche senso
nel vissuto.
Ora,
più che una donna
si sentiva una porta,
aperta sullo spazio.
E a volte
una panchina di giardino,
dove era stato dimenticato
un bel libro mai finito
in chissà
quale istante
infreddolito.
Elena Condemi
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