Cronaca percorso misto
Ci sono giornate in cui le rese dei conti fanno la loro parte, la mia: instabilità che devo riportare all’ordine con coscienza di vivere dietro sbarre forgiate da strati di errori; col metro comune della rassegnazione si dice esperienza.
Il movimento fisico mi disgusta, ma trovo una parvenza di verità nella lucidità che alberga in un corpo privo di alterazioni artificiali.
Cielo opaco che solidifica in nubi più consistenti, comincio a pedalare e scorro lungo l’Emilia screpolata, schivando urti violenti di veicoli da roteare le ossa, istante troppo breve per cogliere l’essenza del dolore fisico, rimandato lontano in un fortunoso risveglio, riabilitazioni per la norma o per manovrare nuove attrezzature allorché dovessi subire menomazioni percentualmente più o meno estese.
Quando supero la città che ho smesso di vivere, lasciata alle spalle, in balia della peggior feccia, seguo la via che dolcemente ondulata sibila in faccia alle colline verdi, ubriache di febbrile primavera, patologia solare, il respiro si schianta su bronchi decomposti da piantagioni di tabacco, fresco e bolle di calore che annunciano il ventaglio di elettroni breve a venire, una corrente favorevole a risparmiare per gentile concessione d’un segmento temporale, il distacco irreversibile delle cellule.
Non mi soddisfa l’ingresso del paesebucodiculoturistico, il lampo di un conoscente, l’abusata finzione quotidiana, un sollievo che a malapena ritrovo in un passato di visi perduti e con loro una variegata serie d’attenzioni per il particolare, una insensata carrellata di scuse agli atteggiamenti migliori per non passare inosservato com’è ora il desiderio primario.
La fatica è una regalia, il lasciapassare per tenere a distanza ogni essere vivente simile a un umano, distensione di cose inanimate, i rifiuti sul ciglio, i prezzi più vantaggiosi alternati ai peggiori senza criterio, da un distributore di derivati petroliferi all’altro, quell’essere informe ributtante, il benessere mancante a cui sopravvivo per proseguimento di non curanza, ma non al lavaggio acido cerebrale, vano tentativo collettivo alla devozione perpetrata che tento di schivare come una serpe, repentina a lacerarmi i testicoli.
Scivolano i pneumatici, col vento contrario e una stanchezza che sfiora la noia, un vago presentimento d’acquazzone ch’è solamente un pensiero sfuggente lungo qualche vicolo della materia grigia celeste, sogni del mattino, masturbazioni e pornografia, santità d’indifferenza ridotta alla necessità corruttibile; rettangoli satellitari in caduta libera e esplosioni azzurro elettrico sulla tangente orizzontale, risucchiata da una colonna ignea perpendicolare, indefinita.
Campi e siccità, l’ultimo strappo e saliva ad abbandonare labbra non ancora avvezze, edifici demoliti e ambiziosi progetti d’insetti presuntuosi.
Qualche bullone da stringere.
Niente di grave –
04/2012
bel pezzo Marco
Grazie Karen
C'è sempre qualche bullone da stringere. A volte con pazienza, a volte con rabbia.
È stato bello leggerti. Ciao.
Ti ringrazio Guido. Per come vanno le cose, sono tangente alla rassegnazione. Scrivi anche tu? In tal caso farò un salto a leggerti.
Bentrovato amico....e ottimo lavoro.
Mi chiedevo che fine avessi fatto...
Sei molto gentile.
Mi trovi qui, per la maggior parte del tempo //marcogas78.wordpress.com/
Grande!!!
Bella pagina.
Grazie Marisa.