Gli occhi, due fessure, sua madre al piano di sotto lo chiamava per pranzare, domenica mattina esaurita a mezzogiorno. Scese affaticato dal letto, bevuto troppo la notte in disco, timidamente le immagini si fecero chiare, s’incastrarono fra loro e Marzio rivide il suo viso fra un sobbalzare e il seguente all’epicentro retro sternale.
Mal di testa, nausea, le sue quattro ossa scattanti e nervose, entusiasta e mai sazio d’inverno 1995.
Il telefono arricciava il cavo, seducente come una medusa, stati d’animo dolenti e contrastanti, punk-rock, dark-wave-electro, si sbarazzò della cornetta, si vestì, pesante per quanto possibile, non sentiva freddo, sangue in eccesso nelle vene, jeans a zampa strappata, camicia nera, capelli intrattabili, Rebel Rebel dalle casse, cappotto in pelle e anfibi, veloce, il treno delle 14,20.
Cinque minuti di viaggio, chiuso nel bagno della carrozza, spirali di fumo e si godeva la vertigine, il suo profilo nello specchio verticale, una melodia sussurrata fra le labbra, per non svegliare il controllore là fuori.
Alla stazione, vecchi senza meta e accattoni delle duecento lire, nessun timore, tempo di arrivare in centro, con la nebbia che scendeva a concludere l’ora serena dei giorni brevi.
Marzio portava la vita al guinzaglio, lo strattonava, lo scuoteva festosa, nuova, misteriosa per sorprese inattese, folle di catene famigliari allentate.
Sentiva la voce di lei onnipresente, costante, il suono prevaleva sulle parole, la sera prima di dormire o se tornava in sé nel cuor della notte, a coprire i rumori della gente e il traffico regolare.
Il latino, l’algebra, il Dolce Stilnovo e quella poesia che invitava un canto a raggiungerla ovunque si trovasse, in filosofia sembrava carente ma dipendeva dal pessimo insegnamento di una disciplina che trovava limitante chiamare materia.
La vide in piedi, dall’altra parte della carreggiata, sotto l’arco, vicino al semaforo rosso, sorrideva.
Un calo di tensione venne a depredare gioia istantanea alla consapevolezza d’astrazioni incarnate, la terra rabbrividì fino a lampeggiare, volgendo le spalle, fingendo noncuranza.
Marzio la fissò con insistenza maniacale, per scoprire tratti simili alla natura umana.
Il Barbour verde, quell’odore caratteristico fu rivelatore e i Dr.Martens amaranto, si abbracciarono, accesero sigarette in sintonia, aspirarono e scomparvero nel fiume indolente di fine millennio –

Piccola rosa del deserto
Sospiro sognante
Di giorni grondante
In una goccia, il mare aperto

Vesti leggera d’asfalto
Semina porte fra dimensioni
Porta concezioni dall’alto
E sorprendenti nevicate d’occasioni

Lo smarrimento sensuale
È una vita in apnea
Passione diversamente uguale
Non posso che adorare, vestale, Dea

Marco Gasperini
Non sono io, scimmia ammaestrata, il solito disperato buffone, spirito invernale sconfitto dall’enigmatica primavera del cuore in codice - Se la notte incombe, dammi l’illusione di un puerile mattino.

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6 Commenti

  1. un tuffo in quel che è stato, in quel che fa parte del nostro passato... qualcosa che non si è dimenticato nonostante tutto!

  2. ..sentimenti originali, il nostro passato sotto la pelle dell'anima, le repliche perfezionate o meno dei nostri gesti, di quel che avremmo voluto e quel che siamo riusciti a trattenere, quando per un'emozione abbiamo rifiutato gl'insegnamenti dell'esperienza, che farsi male val la pena per un desiderio che rende vivi - grazie Mariella

  3. i nostri ricordi sono sempre legati agli oggetti alle mode... è strano come certe cose acquisiscano sentimenti quasi nella nostra mente pur rimanendo ...cose

  4. ...forse perchè dentro quelle scarpe, quei cappotti, c'erano persone che abbiamo amato...frammenti di vita, realtà trasfigurata in sogno..

  5. Che bello vedere insieme più cose....è anti-convenzionale!

    Non ti dico mi piace perchè poi sembra facebook...ti dico OK!

  6. ....in effetti basta niente per cadere nella banalità...Grazie amico!


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