Era nata nell'Inverno.

Racconti Krontera

In un luogo dove regnavano il freddo e il buio, chi viveva là aveva il terrore dei sentimenti.
Quando a volte, un'emozione armata di coraggio tentava di far visita in quel luogo, veniva uccisa. Gli tendevano trappole ingegnose, la legavano con catene d'odio rendendola debole e quando finalmente era spossata, completamente priva di forza, tra le risate generali la ricoprivano con manciate di sale grosso, fino a che ne rimaneva sepolta. Poi aspettavano. Attendevano tre giorni interi, prima di festeggiare. Tre giorni. Il tempo necessario per far morire qualunque sentimento, tra grida di atroci sofferenze, avvizzito nel sale.

Lei credeva fosse giusto così, cresciuta da sempre in quel posto, accettava le situazioni che gli adulti creavano, credendole infallibili. La sera all'ora di andare a letto le rimboccavano il piumone intessuto di lana e fili grigi di cinismo fino al collo, immobilizzandola. Le raccontavano storie colme di disincanto che parlavano di come i sentimenti fossero negativi e nessuno le augurava la buona notte. Mai. La nutrivano con minestre d'ipocrisia e panini stantii farciti di bugie e Lei cresceva. Diventava grande tra parole rabbiose sibilate e urlate.

Imparò presto a districarsi tra chi abitava con lei, divenne crudele, astuta, furba... e ne andava fiera. Tutti la elogiavano, era la più dotata nell'avvizzire i sentimenti che osavano intrufolarsi nell'inverno, nel cacciarli. Lei provava un oscuro piacere nel ricevere quelle lodi, ghignava bianchi affilati sorrisi gelidi e ringraziava con cenni austeri del capo.
Un pomeriggio nuvoloso si trovò sola nel gelo, bianche volute di neve le vorticavano attorno al corpo slanciato mentre marciava per raggiungere la sua casa. Improvvisamente nel silenzio risuonò cristallina una risata che le fece istantaneamente bloccare il passo. Non era il solito suono che avevano le risate tipiche di quel luogo, non c'era disprezzo, ne cupa ironia, no. C'era solo felicità.
In pochi istanti le sua dita sottili sfoderarono la frusta a tre corde che usava per liberarsi dai sentimenti, la destra intessuta con la rabbia, la sinistra con la paura e la centrale, la più spessa e la più pericolosa, con l'odio. Divaricò le gambe prendendo stabilità col suolo e si preparò a combattere.

Tra le spirali candide si iniziò a intravedere una figura alta, dal passo sicuro. Più si avvicinava meglio si distingueva, indossava un mantello rosso come il sangue che lo proteggeva dal gelo onnipresente in quel luogo, i vestiti pesanti erano blu con sfumature viola, aderenti ad un corpo ben fatto, piacente. Si avvicinò ancora, adesso Lei poteva ammirarne il viso perfetto, glabro, riempito da un sorriso velato di miele, dolce abbastanza da provocarle fastidio, enormi occhi verdi la scrutavano più incuriositi che intimoriti e il tutto era contornato da vaporosi capelli biondo cenere imperlati di neve. Lo pervadeva un'aura di luce arancione, splendeva nel grigio dell'inverno fino ad abbagliarla. Lei si costrinse a tenere gli occhi sbarrati nonostante il fastidio che provava a guardarlo, aveva già capito chi le si era fermato d'innanzi, ne aveva sentito parlare talmente tanto in quelle storie che gli adulti le raccontavano da piccola che le pareva di averlo aspettato da sempre. Veniva dipinto come un mostro infame, una creatura obbrobiosa che andava combattuta, sterminata, uccisa fino a causarne l'estinzione. Era il sentimento più odiato da tutti, l'emozione più temuta, era l'Amore.

L'Amore era a pochi metri di distanza, sciolse il sorriso schiudendo le labbra, voleva parlarle. Lei non gliene lasciò il tempo, le avevano descritto mille e mille volte di che genere d'incantesimo l'amore era in grado di lanciare solamente utilizzando poche parole. Non era intenzionata a dargliene l'occasione. Con tutta la forza che il suo giovane corpo le consentiva gli si scagliò contro brandendo la frusta. Fece saettare nell'aria le tre corde annodate flettendo il manico, cercando di colpirlo, l'Amore con gli occhi sgranati per quella reazione schivò il colpo lanciandosi di lato.

Iniziò una battaglia furiosa, Lei si lanciava con furia cieca contro quel corpo sconosciuto, quell'emozione che le avevano insegnato ad odiare, brandiva la frusta al suo meglio e colpiva quel corpo ghignando feroce, ogni goccia di sangue che vedeva zampillare la esaltava, annusava la vittoria, la credeva vicina, talmente tanto da poterla sfiorare con un balzo, con le orecchie ascoltava già le lodi che le avrebbero intessuto, una volta trascinato il corpo dell'amore nella piazza centrale gridando per richiamare gli altri.
Non si accorse che per tutto il tempo l'Amore si era limitato a cercare di schivare i suo colpi, senza mai attaccare a sua volta.
Non si accorse dell'espressione triste che aleggiava sul viso di quel sentimento mentre la osservava combattere.
Non si accorse che nonostante i colpi, i tagli, il sangue che sgorgava dalle ferite, l'Amore non accennava nessuna stanchezza. Nessun indebolimento, niente di niente. Non era assolutamente affaticato, mentre Lei iniziava ad ansimare caldi sbuffi di vapore condensati nel gelo dell'inverno.

Tra l'ansimare e i colpi di tosse, tra la gola in fiamme e il sudore freddo che le bruciava gli occhi, Lei decise di attaccare ancora, era sfiancata, da quanto tempo stavano combattendo? Non lo sapeva. Da tanto, forse da troppo.
Si scagliò contro l'Amore ringhiando per darsi forza.

Fu un secondo, si ritrovò il polso che brandiva la frusta immobilizzato, stretto nel pugno caldo dell'Amore. A bocca spalancata per la sorpresa Lei lo guardò in faccia, aveva un'espressione risoluta, la fronte aggrottata, sbatteva gli occhi liberando le ciglia dalla neve intrappolata.
"Voglio parlare, non combattere." disse con voce calda.
Nessuno parlava in quel modo dalle sue parti. Per un secondo Lei avverti qualcosa dentro, una scintilla, una fiammella. Un minuscolo centimetro di calore che voleva a tutti i costi espandersi. L'incantesimo al quale gli adulti l'avevano messa in guardia. Lei si spaventò talmente tanto da iniziare a dimenarsi, voleva essere lasciata andare, voleva che l'Amore scomparisse, lo odiava per quel calore che aveva osato intrufolare al suo interno. Odiava se stessa per essersi fatta battere, non era mai successa. Adesso udiva le risate di scherno che le avrebbero lanciato contro gli altri, era sicura, le avrebbero detto che non era più la migliore, che era solo una bugiarda, una buona a nulla.
Le lacrime si fecero largo inondandole gli occhi neri, le scivolarono lungo le guance cerulee e le impiastricciarono le labbra esangui.

"Lasciami." gridò con tutto il fiato che aveva, "vattene via, lasciami andare!"
L'Amore allentò la presa sul polso di Lei, fino a liberarle la mano. Lei cadde sfinita nella neve, tra lacrime e ghiaccio, paura e disprezzo per se stessa. Aveva freddo, tremava. Desiderava di non trovarsi in quel posto, desiderava non essere mai nata.
Il pesante mantello rosso le avvolte le spalle, spalancò gli occhi di cobalto non capendo. L'Amore si era inginocchiato nella neve, si era privato del mantello per donarlo a lei, si era sacrificato per il suo bene, un gesto d'affetto. Non aveva mai assistito ad un evento simile.
Lo osservava con occhi nuovi, tra la paura che le scuoteva il corpo si fece largo un brivido di curiosità.

Quando l'Amore le accarezzò la guancia la paura scomparve, lo stupore prese il suo posto.
"Non ti preoccupare." disse il sentimento spostandole i capelli dagli occhi "me ne andrò come desideri."
Non stava mentendo, Lei che era nata e cresciuta tra le menzogne le riconosceva dal puzzo rancido che emanavano, lui profumava di verità.
"Ma prima" continuo fissandola con sguardo greve "devo farti sentire una cosa"
"Con le orecchie o con il naso?" sussurrò Lei mente la neve smetteva di scendere.
"Con in Cuore."

Il bacio non era come le malelingue le avevano sempre descritto, non era fatto di morsi appuntiti che ti fanno sanguinare le gengive, non faceva male, non cadevano i denti, l'Anima non veniva risucchiata e masticata. Era bello. L'Amore le teneva il viso tra le mani bollenti accarezzandole le labbra con altre labbra, leccava via la paura che le chiudeva in una gabbia il suo spirito, i suoi sussurri la incitavano a vivere. La spingevano ad abbandonarsi all'emozione che le causava quella scintilla al centro di se. "Ama" gridava ogni suo senso "Impara ad amare". Le mani di Lei si tuffarono tra quei batuffoli biondi, le sue labbra si diedero al bacio con un enfasi che non si riconosceva, gli occhi non volevano aprirsi per paura di ritrovarsi in un sogno. Era come se la sua anima non avesse chiesto altro per tutta la vita.
"Io ti amo.." le parole le sgusciarono tra i sussurri, divennero forti con prepotenza e si innalzarono fino in cielo.

Solo un animale viveva nell'inverno, il cervo. Quello che aveva assistito a questa storia era color dell'avorio. Il corpo era scosso da fremiti non per la battaglia che era appena terminata, ma per l'esito. Mai aveva visto un sentimento vincere. E vantava molti anni corsi in questo mondo. Le due figure che si abbracciavano a pochi balzi dai suoi zoccoli svanirono senza fare rumore. Sorpreso fece un passo verso quella direzione. Non credeva ai suoi occhi, eppure non l'avevano mai tradito. Si avvicino ancora, passo dopo passo, fino a raggiungere il punto preciso dove erano scomparsi. A terra rimaneva solo un mantello rosso sangue. Con il muso umido e fremente iniziò a smuovere il tessuto, con una spinta decisa riuscì a spostarlo di lato. Ciò che vide nascosto sotto di esso lo fece sobbalzare. Nessun odore simile aveva mai incontrato il suo naso. Nessun colore simile aveva mai riempito le sue iridi. Verde. Erba, non secca e grigia, ma verde e rigogliosa. La macchia di steli sottili si allargava a velocità sostenuta.

Il cervo non resistette, rapidamente addentò quel cibo invitante, trovandolo succulento. Continuò a banchettare ringraziando silenziosamente chi gli aveva donato tanto. Non se ne accorse, era troppo intento a placare la sua fame, ma dalle sue possenti corna nacquero fiori gialli screziati di blu, si intrecciavano velocemente tra di loro unendosi con le ossa nodose, fino a diventare un tutt'uno col suo corpo, appena le tenere radici gli sfiorarono la pelle, il mantello avorio si colorò all'istante di marrone, arancione e giallo.
In mezzo ad un nulla arido di bianco, macchie di colore presero vita un po' ovunque.

Nessuno aveva insegnato agli abitanti dell'inverno, che niente può sconfiggere l'Amore.

Krontera
Krontera
Io non so se dal Profumo lontano di Notti Irreali arrivasti a spingermi con mancata eleganza, ostinandoti in una Danza taciturna eppur loquace. Mi cingesti i fianchi in un fatal unico Respito, corteggiasti le mie insane movenze rendendomi Immortale agli occhi della Luna. Senza saper null'altro di Te se non il tuo Odore mi regalai leggiadre Illusioni di una presunta Follia e invitandoti al martirio ti Amai. Non so se il fatal Destino decise per me o se fui Io stessa a ribellarmi al Vento, eppur da quel dì smisi di camminare sollevandomi pel Cielo con Ali di Rugiada. E il tuo Volto vidi reincarnarsi in ogni Notte stellata...

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4 Commenti

  1. Nes­suno aveva inse­gnato agli abi­tanti dell’inverno, che niente può scon­fig­gere l’Amore.

  2. l'ho letto con il cuore...


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