L'Italia che poteva essere

Recensioni Vito Tripi

di Vito Tripi

Il 7 novembre del 1952 sulle colonne de Il Secolo d’Italia il Barone Julius Evola scriveva un interessante articolo sull’Unità d’Italia dal titolo “L’altra possibilità”. In esso egli s’interrogava su un punto importante “Il Risorgimento allora, non lo si sarebbe dovuto fare?” Questo potremmo definirlo non solo e non tanto il primo, legittimo, tentativo di revisionismo ma soprattutto una prima forma di ucronia. L’idea che un pezzo importante di storia patria possa venir rivisto sotto numerosi punti di vista, sviscerato e reinventato. Un tentativo interessante in questo senso è stato fatto dalla casa editrice Bietti con la sua antologia ucronica dal titolo Altri Risorgimenti – L’Italia che non fu (1841/1870) a cura di uno dei più grandi esponenti della cultura del fantastico nostrano Gianfranco De Turris. Un libro interessantissimo che ci mostra il Risorgimento declinato in 19 maniere diverse (tante sono le storie presenti nel volume) ognuna con una sua peculiarità. Troveremo racconti in cui le cose andarono meglio rispetto alla storia ufficiale, specie per il Meridione, altri che dimostrano che plus la changes, plus se la meme chose, e altri ancora che ci mostrano il peggiore dei mondi possibili. Storie originali ed intriganti alcune delle quali scivolano verso la fantascienza e l’horror. Ma per sapere qualcosa in più oltre al curatore abbiamo intervistato alcuni degli autori: Luigi De Pascalis, Filoteo Maria Sorge, Nicola Verde, Errico Passaro, Francesco Grasso e Massimo Mongai.

 

Dott. De Turris lei è il curatore di questa antologia: com'è stato gestire 20 autori di un certo calibro in un'avventura ucronica quanto mai originale?

Ne più né meno come è stato gestire i diciannove racconti della precedente antologia di storia alternativa Se l'Italia (Vallecchi. 2005) ed i ventuno fantagialli di Sul filo del rasoio (Mondadori, 2010), magari con un po' più di attenzione per evitare sovrapposizioni di idee tropo simili e vistosi errori storici.

Dopo tanti anni passati a ideare e compilare antologie collettanee si prende la mano a queste cose, anche se io ormai vado in parte sul sicuro: in genere contatto autori che conosco da tempo, anche a livello di amicizia personale, conosco che tipi sono e che genere di cose scrivono. Insomma, con essi ho un certo rapporto per cui mi posso permettere di chiedere anche due o tre stesure della storia se essa non mi convince. E la scarto se credo che, nonostante ogni sforzo, non  vada bene: magari posso anche sbagliarmi, ma io lavoro così, e chi decide di collaborare alle mie iniziative sa, povero lui, a cosa va incontro... Ovviamente in  ogni antologia inserisco anche nomi in tutto o in parte nuovi, giovani o meno che siano, purché disposti a scrivere storie originali, con stile piacevole ancorché personale, non conformiste da ogni punto di vista.

C'è chi si spaventa della mole di lavoro, del fatto che la spesa non vale l'impresa, che non vuole discutere con gli autori o viceversa che vuole imporre i suoi punti di vista assoluti, che non ha voglia di leggere e rileggere, e così via. Ma per ottenere raccolte di racconti cospicue e di livello bisogna faticare... Passo per essere un rompiscatole incontentabile. Ma alla fine è il risultato che conta. E finora, a conclusione di fatiche notevoli e non sempre riconosciute, credo in genere di aver fatto centro.

De Pascalis: il suo racconto ci presenta una singolare discussione di una tesi di laurea che somiglia ad un interrogatorio della Santa Inquisizione come mai questa scelta?

Volevo partire da una scena importante per il protagonista, ma assolutamente quotidiana, e, attraverso i dialoghi, far venire fuori man mano una realtà "altra", un mondo in cui avvengono le cose di sempre, cose familiari al lettore, eppure allusive di un contesto disturbante e alieno. In esso persistono caratteri, screzi, rivalità, speranze e illusioni che hanno a che fare con l'umano di sempre che ci spinge  ingannevolmente a credere che tutto sia normale anche quando non lo è. L'idea di fondo è che al sopruso, alla prevaricazione e persino alla più odiosa tirannide le cavie da laboratorio che siamo tutti, più o meno, si abituano un po' alla volta, come Mitridate al veleno. E rispetto a ciò, la gente qualunque come gli uomini di potere sono sempre e comunque sotto esame. Vuoti a perdere.

Sorge: la sua storia ci mostra un lato un po' romantico, sensuale ed avventuriero di Vittorio Emanuele II: provocazione o esperimento letterario?

La sensualità  di Vittorio Emanuele II è storia vera. Il lato avventuriero, invece, l'ho pensato come esperimento, immaginando che fosse Anita a trasferirgli la sua irruenza. Anche la tecnologia sabauda è un dato di fatto: io anticipo armi automatiche che in Piemonte sperimentarono più avanti e con scarsi risultati e che nella mia storia invece funzionano e vengono cedute agli inglesi in cambio di favori: E’ un'ucronia nell'ucronia. Ma il romantico sono io, quella è una corda autobiografica.

Verde: la sua storia ucronica ripercorre un percorso da lei già iniziato in un'altra antologia, Delitto Capitale, e poi in parte continuata in Camicie Rosse Storie Nere ossia la Roma Papalina e la figura di Mastro Titta, da dove nasce il tuo amore per questi due soggetti?

La Roma di prima la sua proclamazione a capitale d'Italia, deve essere stata magnifica, non ancora depauperata di molte bellezze, comprese le grandi ville ch'erano dentro le mura (Villa Ludovisi era considerata il più bel giardino del mondo, decantata da Goethe e Stendhal, e in sua difesa, perché non venisse smembrata e data in pasto agli speculatori, corsero i più bei nomi dell'epoca, compreso Gabriele D'Annunzio): un “sacco”, dal punto di vista architettonico e artistico, successivo a quello del 1527. Stringe il cuore al solo pensarci.

E' una Roma misteriosa, sprofondata in un buio tenebroso: i palazzi a malapena illuminati da moccoletti e lumi a gas o a olio; le strade da radi lampioni (più o meno 700 in tutta la città). E' provinciale, nonostante il suo grandioso passato di cui restano vestigia importanti, ma tra le quali pascolano le greggi e muggiscono le vacche; nell'aria ci sono odori di broccoli e frittate, mischiati al puzzo del letame. Vigne e orti lambiscono palazzi principeschi: grandiosità e povertà si confondono in una “democrazia” tutta romana. E il Papa, in fondo, è un buon padre, sopportato e forse amato, perché in grado di salvare anima e corpo (quale altro re sarebbe stato in grado?); una città dove tutti, più o meno, vivacchiano all'ombra della curia, fosse anche “ingrassando al fumo dei loro arrosti”. Ci si accontenta.

E' una Roma sonnacchiosa, brontolona, sorniona quanto... un “gatto mammone”, pronta a diventare furiosa se soltanto accarezzata contropelo.

Ha fascino da vendere!

E che piacere poterla far rivivere in qualche modo!

Quanto al Bugatti, altrimenti detto Mastro Titta, il boia di Roma, incuriosisce la sua figura di  personaggio mitico del quale, in realtà, si sa pochissimo. Accenni qua e là: Byron, Belli, Dickens, ma niente di importante, neppure le sue memorie sono autografe, ma, con ogni probabilità, attribuibili a un certo Mezzabotta, autore prolifico dell'Ottocento, elaborazione fantasiosa di un taccuino, quello sì olografo, dove Titta ha annotato, con puntigliosità, i dati scarni delle sue esecuzioni. Durante la sua lunga vita (muore all'età di 90 anni) eseguì ben 516 condanne, quasi tutte in nome del Papa, cominciando all'età di 17 anni e smettendo a 85 e soltanto perché nell'ultima “giustizia”, così come le definiva lui, la testa del condannato rotolò dal palco con grande spavento degli spettatori (all'epoca le esecuzioni erano molto seguite, al pari di un vero e proprio spettacolo). Un uomo integro, nonostante il mestiere che faceva (quello di boia, naturalmente, perché di primo mestiere faceva l'ombrellaio), fortemente convinto che una mela marcia andasse eliminata prima che rovinasse tutte le altre, ma senza acredini né pregiudizi personali, capace di dare una presa di tabacco al condannato;  profondamente religioso, al punto di prendere la comunione ogni volta che procedeva a una pena capitale.

Insomma, il fascino di un'integrità morale che mantiene purezza e candore pur dando la morte.

 

Passaro: la sua storia è forse quella che in un certo senso è più simile alla nostra attualità con una Massoneria imperante perché questa scelta?

Quando ho scritto il racconto, dovevano ancora apparire in cronaca le cosiddette P3 e P4. La scelta è legata all'alone esoterico-fantastico che circonda queste confraternite, vicino al mio gusto letterario, e alle possibilità estetiche che offriva il ricorso ai loro tradizionali simboli (riunioni d’incappucciati, piramidi, cose così). Inoltre, mi piaceva esprimere l'idea di una certa resistenza al cambiamento delle masse che, anche in presenza di una simile rivoluzione dall'alto, non modifica sostanzialmente stili di vita e culture collettive

Grasso: Da dove nasce L’eroe dei due sud?

Anzitutto ho sempre pensato che gli anni in cui si svolse il Risorgimento fossero, come si dice, “tempi interessanti”. Noi italiani difficilmente ce ne rendiamo conto, perché i nostri libri di testo scolastici focalizzano la seconda metà del secolo diciannovesimo sulle vicende dei vari Mazzini, Garibaldi, Savoia e Cavour. In realtà, in quello stesso periodo, nel mondo accadevano eventi enormi e memorabili, che non sempre realizziamo essere coevi al Risorgimento. Pensiamo alla lunga agonia dell’impero cinese, all’epopea kiplinghiana dell’India britannica, all’unificazione della Germania bismarkiana, alla rutilante modernizzazione del Giappone feudale…

In particolare, pensiamo alla guerra civile americana. In quel conflitto (che avviene – lo ripeto – mentre da noi infuriano le guerre risorgimentali) possiamo scorgere temi e sottotracce che richiamano con forza singolare le vicende italiane. Un Nord che invade un Sud, una conquista che si traduce in spoliazione e rovina, sconfitti che si danno alla macchia e al brigantaggio, confische e repressioni… La differenza più evidente, se vogliamo, è che la guerra civile americana è stata narrata in innumerevoli romanzi, fumetti, sceneggiati e colossal hollywoodiani, che hanno impresso nell’immaginario collettivo nomi ed episodi anche abbastanza marginali (chi non ha mai sentito parlare di Jesse James?). Al contrario, al di là della recentissima cinematografia nostrana (Noi credevamo, ad esempio), il grande pubblico sa davvero molto poco di ciò che avvenne quando crollò il Regno delle Due Sicilie (chi sa citare, ad esempio, il nome di un generale borbonico o di un brigante post-unitario? Chi è a conoscenza delle stragi e delle esecuzioni sommarie perpetrate dai piemontesi nelle regioni meridionali occupate?).

L’Eroe dei due sud nasce da queste riflessioni. E dal fatto storico – autentico – che militari borbonici lottarono al fianco dei confederati nei campi di battaglia della Virginia e del Mississippi. La “svolta ucronica” che ho immaginato nel racconto è che uno di questi “mercenari” borbonici convinca i suoi compagni d’arme – di fronte alla sconfitta, piuttosto che attendere l’inevitabile vendetta dei nordisti – a fuggire con lui in Italia. E questi commilitoni sudisti, guarda caso, sono i fratelli Frank e Jesse James.

La banda James a Napoli avrebbe cambiatola Storia? Forse non il loro destino personale (penso che le circostanze non mutino il carattere delle persone, semmai il contrario), però certamente la loro presenza in Italia avrebbe reso al brigantaggio meridionale quella visibilità “hollywoodiana” di cui parlavo prima, e che nei conflitti asimmetrici (lo abbiamo visto anche in Vietnam) è sempre un’arma molto potente.

Per il resto, ho cercato di rendere nel racconto anche la circostanza che i protagonisti di quegli anni erano, nella maggior parte dei casi, semplici ragazzi. Eroici (magari involontariamente, ma eroici) teen-ager che diedero il sangue per farela Storia, ove i loro coetanei, oggi, al massimo fanno sega al liceo per spendere la giornata davanti alla Playstation.

Infine, concludo segnalando il lavoro di ricerca che ho svolto – anche dietro indicazione di Gianfranco De Turris, attentissimo curatore – prima di mettermi alla tastiera. Tutti i personaggi de L’eroe dei due sud sono realmente esistiti, da Bill Anderson a Giuseppe Pianell, da Agostino Russo al ministro Lanza. Le armi e i reggimenti citati sono autentici, e persino le due voci narranti della vicenda – i giornalisti Blount e Jolivet - non sono frutto di mia invenzione, ma hanno alle loro spalle una storia che lascio ai lettori il piacere di scoprire (anche seguendo gli indizi sparsi qua e là tra le pagine del racconto). E sottolineo questo aspetto non in una sviolinata all’erudizione fine a se stessa (che ho sempre trovato piuttosto noiosa, preferisco di gran lunga l’azione!) ma perché sono convinto che se il saggio storico deve essere curato e pertinente, l’ucronia deve essere – per aver senso - ancora più attendibile.

Mongai il suo racconto, Signorno!, è quello dal titolo più diretto potremmo definirla una provocazione?

No, direi di no. Non perché non mi piaccia provocare, quando serve, quando è utile e soprattutto quando è divertente. In realtà tutta l'idea del racconto è basata proprio sul ribaltamento di senso. Se Garibaldi disse "Obbedisco", qual è il contrario? Signornò. Ed è nel ribaltamento della prospettiva, del punto di vista che spesso c'è l'idea, il divertimento e blablabla. Forse c'è un ricordo antico, di me bimbo che ruzzavo sui prati della Garbatella (che non ci sono più) e che ero appassionato di Garibaldi e quell'episodio, lui che vince e si deve fermare perché altri, che hanno perso per altro, gli dicono fermati, non mi ha mai convinto, o meglio, non mi è mai piaciuto. Ecco, ho cambiato la storia, uno dei massimi divertimenti dell'ucronia.

TITOLO: Altri Risorgimenti - L'Italia che non fu (1841 - 1870)

AUTORE: AA.VV.

EDITORE: Bietti

PAG: 540

PREZZO: € 22,00

Vito Tripi
Vito Tripi
Vito Tripi collabora con l’Agenzia Stampa Deigma Comunicazioni specializzata in uffici stampa culturali, religiosi, sociali e tecnico-scentifici, con le Riviste “Charta Minuta” e “Storia del ‘900” “L’idea il giornale di pensiero” Dal settembre 2007 è opinionista cinematografico per l’emittente TeleVita nel programma “Lungometraggio” Ha curato la Rubrica Cinema e Libri per il periodico on-line www.nannimagazine.it Cura la Rubrica d’arte “Gallerie Romane” per la radio Vaticana nel programma “Attualità della Chiesa di Roma” Cura la Rubrica Arte&Libri per il mensile “Il Giornale del Lazio” Curatore della manifestazione letteraria “Genius Loci” presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Tor Verga

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