Esce dal cancello silenziosa come un felino. Si avvia per la strada sterrata per lasciarla pochi passi dopo. Scende la scarpata, ripida e franosa. Tiene le gambe piegate cercando un minimo di equilibrio che non la faccia finire con il sedere per terra. Le scarpe con il tacco non l’aiutano. Ma che idea le è saltata in mente?

-    Donna sei. Quando lo capirai che certe cose le devi lasciare ai carusi?

Carusi. Non riusciva a non pronunciarla quella parola. Retaggio della sua isola. L’isolano lo chiamavano. E lui ne andava orgoglioso e gli scivolava addosso quello che per gli altri rappresentava quella parola.

-    Resterai sempre lo straniero qua sulla terra ferma.
-    E che gli fa?
-    Gli fa che nessuno ti considera, solo sei e solo resterai.
-    Meglio soli che mala accompagnati.

Quante volte ne avevano parlato e ogni volta finiva così. A lui stava bene accusì.

Salta sulla terra piana. E si scrolla i ricordi alle spalle. I tacchi delle scarpe gli si infilano nel terreno morbido, appena arato. Che idea malsana abbandonare la villa per seguire quell’impulso di carusa.

-    Mi ci porti a vedere la tua isola un giorno?
-    Davvero la vuoi vedere?
-    Voglio vedere se l’ho immaginata bene.
-    Immaginata?
-    Ogni volta che tu mi racconti, io immagino.
-    Un po’ sarà cambiata. I miei racconti sono racconti vecchi.
-    Sono favole i tuoi racconti e le favole si celano dietro alle immagini reali.

Tira su prima la gamba destra, si scrolla come può le zolle di terra che sono rimaste attaccate al tacco, poi poggia il piede a terra con la punta e fa lo stesso con la gamba e la scarpa sinistra. Equilibrio precario questi tacchi.

-    La neve fa bene alla terra.
-    Fa bene?
-    Assai.
-    Ma nella tua isola nevicava?
-    Certo che nevicava. L’sola ha tutto, mare, montagne, il vulcano. Il freddo e il caldo. L’sola femmina è e pure uomo.
-    Come può far bene la neve?
-    Ricopre tutto. Addormenta i sensi e le piante si riposano davvero quando scende la neve. E poi si scioglie piano e la terra assorbe lentamente l’acqua senza che se ne scorra via veloce come con le piogge. La primavera che viene rigogliosa è. L’erba è più verde, i fiori sono assai di più e i frutti grandi e saporiti.

Fa qualche passo nel verde intenso del prato. Non si può camminare sulle punte. Non è lo stesso che correre a perdifiato. E lei vuole correre a perdifiato. Si butta a terra dove il trattore non si è avventurato. Dove l’erba è ancora un tappeto morbido e rigoglioso. Con un gesto rapido si libera della costrizione di non essere un caruso.

-    Io non voglio essere donna.
-    Non sei tu che puoi decidere. La Natura ha scelto per te. E non solo donna sei, sei musa per chi ti guarda.
-    Io voglio essere libera.
-    Puoi essere donna e libera.
-    Mi insegni tu?
-    Te lo insegna il tuo cuore.

Si tira su e prende a correre. Corre veloce lasciando la scia del suo passaggio in quel campo più verde. Papaveri e margherite e malva. Giallo, viola, rosso, blu.

-    Corri carusa corri.
-    Ma non sono più carusa.
-    Lo sarai sempre per me.
-    Ma se  mi dici che ormai sono donna.
-    Le donne migliori sono quelle che mantengono negli occhi la luce di carusa.

Lo sente. Sente i suoi occhi poggiati su di lei ancora adesso.

-    Come fai ad esserci sempre?
-    Tuo padre sono.

Corre su per la collina ora. Veloce come lui le ha insegnato.

-    E se il cuore mi scoppia?
-    Non ti può scoppiare. Noi isolani abbiamo il cuore forte.
-    Ma io non sono nata sull’isola.
-    Tu sei l’isola.
-    Quando mi ci porti?

Il cuore non le può scoppiare e anche se i battiti le squarciano il petto, anche se il fiato le si fa corto, lei corre. Corre su a cercare la carusa che l’aspetta alla casa bianca.

-    Vai tu.
-    Ma è la tua isola.
-    La mia isola me la porto dietro con me. Non mi serve quella degli altri.
-    Papà me lo hai promesso.
-    Mi ci porti tu poi, carusa.
-    Papà io non voglio portare una bara.
-    No, neanche io voglio stare in una bara. Cenere voglio essere. Mi devi cremare e poi andare alla casa bianca. Sai poi cosa devi fare.

E corre ancora nonostante il fiato spezzato, nonostante il dolore lancinante al fianco. Corre mentre gli occhi si appannano e lacrime scendono veloci. Veloci come i pensieri che le stanno accanto e che non riesce a staccare.

-    Pensi troppo.
-    Tu mi hai insegnato a interrogarmi.
-    A volte però la mente ha bisogno di riposare. Se la mente stacca, il corpo si rilassa.

La vede la casa bianca.

-    La quercia al centro dell’aia proteggeva gli animali. In tanti ci si nascondevano, uccelli e roditori. Una volta pure una serpe ho visto scendere dal ramo più basso.
-    E tu?
-    Io cosa carusa?
-    A te ti proteggeva la quercia.
-    L’estate mi ci appoggiavo con la schiena e leggevo libri proibiti.
-    Libri proibiti?
-    Sì, me li passava Jacopo il figlio della Principessa che aveva la casa nella tenuta vicino alla nostra. Libri contro il duce. Noi e pochi altri non andavamo alle adunate. La camicia nera mai l’ho messa e mai la metterò.
-    E tutti gli altri?
-    Tutti gli altri hanno avuto paura.

La vede ora la quercia. Le foglie nuove spuntano sui rami. Un soffio di vento lascia cadere quelle vecchie.

-    Non si spogliava mai la quercia davanti casa. Le foglie vecchie abbandonavano la pianta solo quando arrivavano le nuove. Nemmeno la neve riusciva a farle cadere giù.
-    E adesso chi ci vive alla casa bianca?
-    La zia Assuntina.
-    E lei ci va a riposarsi sotto la quercia?
-    Dobbiamo chiederglielo.
-
E lei la zia Assuntina l’ha vista per la prima volta tre giorni fa. Gli occhi spenti sotto il peso di spalle curvate da silenzi che la quercia non ha saputo riempire.

-    Voglio andare a vivere nella casa bianca e riposare anche io sotto la quercia a leggere libri proibiti.
-    Carusa, studia adesso e poi, quando scendiamo giù, se ti aggrada ancora la casa, ne riparliamo. Casa tua è, come lo è questa.
-    Io sono certa che la amerò anche dopo averla vista.
-    Il sole dell’isola forte è e acceca agli occhi di chi non è abituato a tanta luce.
-
La casa è vuota. Zia Assuntina se ne sta alla villa della principessa. La sua pelle è cartapecorita e le mani piccole piccole che si chiede come può la zia essere sorella di suo padre. La cerimonia l’hanno fatta là. Jacopo ha voluto così.

-    Come fratelli siamo cresciuti io e Jacopo.
-    E non ti manca?
-    Picciridda a me non manca nessuno perché ‘ca nel cuore li porto.

Tutti nel cuore li portava.

-    Ma che cuore grande hai?
-    Grande come l’isola. Tutta la contiene il mio cuore.

Si lascia cadere sotto l’ombra della quercia. È vero è rassicurante.

-    Ora donna sono.
-    Lo vedo dai tuoi occhi.
-    Eppure nei tuoi scorgo ancora la luce di quando eri caruso.
-    Quando si avvicina la Certa, ci si riscopre piccoli e indifesi.
-    Non parlare così.
-    Perché vuoi che menta proprio ora?
-    Perché io non sono come te e ho paura di rimanere sola.
-    Portami alla quercia figghia, e lasciami riposare nella mia terra.
-    Sovrappongo favola e realtà?
-    Così forse la luce negli occhi ti torna.
-    Te lo prometto.

E lei le promesse le mantiene, glielo ha insegnato il suo isolano.

-    Che fai piangi? E che già ti manco?
-    Non mi puoi mancare, nel cuore ti porto.

L’inverno appena passato lascia traccia della neve che è caduta. Lo sa, anche se è la prima volta che vede i suoi posti.

-    Ha nevicato sulla tua montagna quest’inverno lo sai?
-    Meraviglioso tornarci dopo che il bianco ha messo a riposare tutto.
-    È presto per parlare così.
-    Io a primavera voglio tornarci, quando la collina si colora di verde e spuntano i fiori su per i campi lasciati a riposo. Macchie di colore che si sposano e danzano con l’erba rigogliosa. E questa di primavera sono certo che non sfigura con quelle dei miei ricordi.

Maria Musitano
Maria Musitano
Ritrovai il mio cuore nascosto sotto un cespuglio.

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15 Commenti

  1. Mariella ti sei superata... bellissimo e non solo,mi piace molto lo stile di scrittura diverso e azzeccatissimo... bello bello bello...brava!

    • la lontananza dalla scrittura, le nuove letture e cambiamenti che smuvono la quotidianeità spesso mi portano a cambiare anche nel mio modo di scrivere. Mi piace poi quando quello che ne esce è un buon lavoro. Ti ricordi qualche settimana fa che non riuscivo a trovare pace? Ecco, ora dopo aver scritto "l'isolano", ho trovato la pace. Mi sento soddisfatta e appagata. E quello che mi sorprende è che apparentemente questo racconto è nato dal silenzio e dalla mancanza di parole, mancanza di parole mie.

      • è strano come spesso i migliori racconti nascono proprio da un odiato foglio bianco davanti che non sappiamo o possiamo riempire.
        E questo racconto è veramente un piccolo capolavoro

        • diciamo che il vuoto c'è stato nelle scorse settimane. Alla fine la rabbia del foglio bianco si è anche affievolita nel frattempo, alle prese con altre cose, la necessità di scrivere è passata in secondo piano. Ieri pensavo che non ci stavopoi così male a non riuscire a scrivere, l'importante era leggere cose buone... 😉 poi oggi però mi son detta, ma dai tempo ce ne abbiamo, riproviamo. E le mani hanno corse veloci sulla tastiera.

  2. toccante e scarno
    pulito, un bel racconto mariella
    devo riconoscere che è sempre un piacere leggerti
    🙂

    • Grazie Massimo, sai quanto valgono le tue parole. Questo racconto è piaciuto molto anche a me. Non so, ma ci sono racconti e racconti. Non intendo racconti belli e brutti. Parlo delle sensazioni che si hannno nello scrivere un racconto. Ce ne sono certi che si scrivono o si lasciano scrivere senza lasciare traccia. Altri invece che stravolgono l'animo dello scrittore. Provi una sensazione di innamoramento mentre lo scrivi. E ti spiace anche quando arrivi a mettere il punto finale. L'isolano mi ha completamente avvolta. Mentre lo scrivevo correvo insieme alla protagonista su per la collina.

  3. Bello amica, diverso dal solito. Romantico e nostalgico dal profumo di agrumi... 🙂

    • si amica, diverso dal solito, un racconto a cui tengo molto, forse perché parla di luoghi che amo per i racconti che me ne hanno fatto...

  4. L’sola ha tutto, mare, mon­ta­gne, il vul­cano. Il freddo e il caldo. L’sola fem­mina è e pure uomo.

    - Corri carusa corri. - Ma non sono più carusa.- Lo sarai sem­pre per me.

    Lo sente. Sente i suoi occhi pog­giati su di lei anche ora. - Come fai ad esserci sem­pre? - Tuo padre sono.

    Come fra­telli siamo cre­sciuti io e Jacopo. - E non ti manca?- Pic­ci­ridda a me non manca nes­suno per­ché ‘ca nel cuore li porto. Tutti nel cuore li portava. - Ma che cuore grande hai?- Grande come l’isola. Tutta la con­tiene il mio cuore.

    - Che fai piangi? E che già ti manco? - Non mi puoi man­care, nel cuore ti porto.

    Grazie Mariella per avermi fatto riascoltare parole che da tanto non posso sentire più....

  5. "- Mi ci porti a vedere la tua isola un giorno?
    - Dav­vero la vuoi vedere?
    - Voglio vedere se l’ho imma­gi­nata bene.
    - Imma­gi­nata?
    - Ogni volta che tu mi rac­conti, io imma­gino.
    - Un po’ sarà cam­biata. I miei rac­conti sono rac­conti vec­chi.
    - Sono favole i tuoi rac­conti e le favole si celano die­tro alle imma­gini reali."

    Mi hai portata sull'isola con questo bel racconto che trasmette dolcezza e nostalgia.
    Brava Mariella.

    • Grazie Marisa, il mio intento era quello di portare il lettore sull'isola.... 😉

  6. Ci sei riuscita 😉

  7. Wauuu ...... molto, molto bello Mariella !!
    Il sentimento per l'isola e l'amore tra padre e figlia non possono essere sconfitti neanche dalla "certa" !!

    Sei sempre più brava, ti ha ispirato anche la neve dei giorni scorsi ?

    • Certo la neve mi ha ispirata... ma a dirla tutta mi ha ispirata anche il libro L'arte della gioia di Goliarda Sapienza che mi ha trasportato sull'isola e me l'ha fatta amare come fosse la mia terra.


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