L'ULTIMA IMPRECAZIONE

Racconti Nicola Eboli

“ MERDA!!, saranno cosa? Mille anni che nessuno ci mette un po’ d’olio a quella porta …”. l’imprecazione giunge contemporaneamente alla brusca apertura delle palpebre. Sicuramente da più di due anni a pensarci bene, che è da quando sono entrato qui dentro e già cigolava.  Questo è anche il ricordo più nitido della mia vita.                                                                                                                                                                                          Rimuovere i ricordi. Belli e brutti. Dimenticare totalmente la propria vita. Il primo giorno di scuola, la prima ragazza, tutte le cazzate che ho fatto e quelle che non ho fatto e avrei voluto fare. Dimenticare persino come mi chiamo e inventarmi un nome nuovo ogni giorno. Come uno che va in coma o semplicemente da un giorno all’altro, perde la memoria. È quello che succede quando il futuro non esiste più. Il futuro, quello che uno pensa di avere, ad un certo punto smetti di vederlo, perché non c’è più un futuro o c’è n’è un altro che non conosci. Bisogna ricominciare tutto daccapo e quello che è successo prima non serve più, perde d’importanza e diventa sempre più lontano, sbiadito, irreale. Ad un certo punto inizi a chiederti se sia davvero il tuo, ma non c’è più niente di mio. Non c’è mai stato ma dovevo perderne il ricordo per capirlo. La porta, cigolando, si richiude alle mie spalle. Mi sembrano tanti schiaffi, schiaffi silenziosi, quelli che mi accompagnano. Porte. Porte ovunque. Porticine o portoni. Porte che conducono ad altre porte.  Fino a che si apre l’ultima porta e finiscono le opzioni. Finalmente.                                                                 Avrei dovuto evitare di radermi. La corda sui pori aperti. Mi irriterà tutta la pelle. Potrei prendermi anche qualche infezione. Forse se la insaponano la corda, per farla scivolare meglio, eviterà di sfregarmi sul collo. Chissà se dopo morto si formano le escoriazioni, forse no. Penso che non affluisca sangue e quindi non succede niente. Non succede più niente. Mai più. Si rimane immobili, anche il sangue rimane immobile. E i polmoni si fermano e le ossa, le vene , tutta quella roba che ci succede dentro, si ferma. si blocca tutto, come in una foto. Tutto fermo, svuotato. Della vita, questa incomprensibile. rimane tutto così fino a che  inizia a mutare. Ma allora non sarà più affar mio.                          Quando l’ultima porta si apre, resto abbagliato. È la cazzo di Rivelazione. La Verità delle verità. È una enorme stanza bianca. Proporzioni assurde. Piastrelle che riflettono luce fin sotto i soffitti che stento a  vedere. Con tutta questa luce faccio fatica persino a vedere avanti a me, ma sento che i due qui accanto mi sorreggono e tra l’altro non sembrano risentire della luce. Con gli occhi socchiusi, cerco un pubblico, una testimonianza che stavolta è davvero finita, ma mi sono sempre assicurato,  di non avere testimoni. Nessuno che fosse partecipe , nessuno che mi conoscesse, nessuno che chi amasse o che mi odiasse. Nessuno a cui volessi raccontare di me. Nessuno a cui interessa che io sia vivo o morto. E del resto non importa a me, per primo. Una mano sulla spalla mi avverte che devo fermarmi. Il tocco è leggero, non brusco, impersonale e impersonali sono i due sgherri che mi accompagnano. Sembrano più due impiegati del catasto. Completo blu e cravatta. Non mi hanno mai chiamato per nome. Ed io non ho pensato a darmene uno. Morirò senza un nome. Senza testimoni e senza nome. Poi  la vedo.

Davanti a me. Alta che si perde alla vista. La forca.                                                                      Mi viene incontro uno. Appena è più vicino, riesco a distinguerne la sagoma. I contorni sono deformati dalla luce. Ovviamente anche il boia è in giacca e cravatta. Niente cappuccio nero o bracciali di pelle. Il suo completo è nero, però. Completo nero con cravatta rossa. Stona con il blu e cravatte rigate degli sgherri/impiegati. Prima di infilarmi la testa nel cappio, mi illustra il funzionamento della “macchina”, come la chiama lui. Grazie ad un complicato sistema di contrappesi e carrucole, azionando una leva alla base del traliccio, il cappio tira verso l’alto il condannato. La velocità di corsa è costante ed è lenta. Lenta abbastanza da concedere al condannato il tempo di riflettere sui suoi sbagli. Ma io non mi ricordo un cazzo, che faccio tutto quel tempo? Conto. Conto , come quando si fa l’anestesia e si inizia a contare finché uno si addormenta.                                                                                                                                                                                  La corda è morbida. Non mi raschia la pelle. Non stringe neanche più di tanto. Sembra più una sciarpa di lana che una corda. Non ci sarà dolore, sangue, urla. Non ci sarà violenza ne imposizione in questa morte. Rimpianto, lacrime, niente. Sarà una morte appena percettibile. Come lo è stato il mio passaggio qui. L’unica “ieraticità” di questa morte,  sarà quando dovranno riportare giù il corpo. Forse allora se ne accorgeranno. Oggi è morto uno che ebbe tante vite, una volta, ma non ne ebbe mai una.                                                                                                                                                                                                              Ma prima, consueti spot pubblicitari sanciscono l’ufficialità della serata. Un prete dal sorriso smagliante e dall’alito profumato al mentolo, cerca di vendermi un prolungamento di contratto. No grazie. C’è già Niente qui, a farmi compagnia.                                                                                                                                                                                            Mi accommiato. Fatemi il conto e tenetevi il resto. Si torna in diretta.                                                                                       Rifiuto il cappuccio, voglio godermela. La corda è ghiacciata, per effetto dell’adrenalina, fra un po’ passa.  Allo  strappo della corda, sento un vuoto d’aria. Lo riconosco e quindi devo esser stato su un aereo in qualche vita passata. I piedi che si staccano dal suolo senza fare alcuna resistenza. Un ultimo sguardo alla sala. Ecco, adesso si. Adesso vedo il pubblico. In silenzio. Che assiste.  La sala è piena. L’enorme sala bianca di cui non vedo i confini. Vedo uomini e donne e fantasmi . Dappertutto. Oltre la vista. Li guardo dall’alto. Loro no, rimangono con le teste basse, come se pregassero, ma pregare chi?                                                                                                                                          Provo ad alzare gli occhi, per capire se c’è n’è ancora per molto. Non ci sono soffitti. Non c’è una fine. Potrei continuare all’infinito. Oltre il bianco di una enorme sala affollata all’inverosimile. Senza pareti, senza soffitti. Sempre più affollata, sempre più in basso, e poi, finalmente, mi fermo. Sono a fine corsa. Ora dovrebbe essere finita. Cerco di scorgere il boia da quassù per capire se si è fermato. Non è più grande di una macchiolina nera che si distingue dal bianco, ma sembra si sia fermato.  Anche la moltitudine è ferma. Un'unica grande macchia indistinta. Pulsa e respira, una grande macchia nera che si allarga e si restringe su tutto questo bianco.                                             Sento che sto per avere un attacco di vertigini. Avevo scordato di soffrire di vertigini. Se mi fisso a pensarci mi viene sicuro una crisi di panico e a quest’altezza sarebbe una tragedia. Speriamo che il boia abbia fatto un buon nodo. Rischio l’infarto e sarebbe un infarto sprecato per me, magari si può conservarlo per qualcuno che se lo merita di più.

Piuttosto. Ma io quando muoio? Fra salita e altro sarà già un oretta che sono appeso. Forse devo smettere di respirare. E di pensare. Si ora ci provo. Sarà per questo. … ma cazzo , ma almeno questa. E la morte definitiva, la morte da cui nessuno scappa, la morte liberatrice dagli affanni, la morte di qua e la morte di là. Me ne sto appeso come un salame, a combattere contro le vertigini, una gran voglia di vomitare su quelli stronzi laggiù. Accettata di buon grado, senza una protesta, senza isterismi. Mi ero detto : va bene, è fatta. Mettiamoci una pietra sopra e andiamo a vedere se c’è qualcosa dall’altra parte … e me ne sto qui appeso e non muoio. Neanche questa.                      Sarà la corda che è messa male. Quando mi riporta giù c’è da capire.                                                                                          Quando mi riportano giù? Mi conviene provare ad avvisali? Sennò mi lasciano qui per chissà quanto. Ed io non sono morto, cazzo. Provo a chiamare il boia da quassù , ad avvisarlo ma per quanto grido non sembra sentirmi. Ma cazzo, cazzo,cazzo. Adesso?mai che una cosa va come deve.  Ma tanto dovranno tirarmi giù che c’era un altro che dovevano impiccare in serale. Sto cesso di boia, vedrai che appena scendo mi sente. Manco buono a fare il mestiere suo e mi ha fatto perdere la mattinata così. Come se avessi tutto sto tempo a disposizione …

MERDA!!  Per poco non ci resto. Stanno tirandomi giù, per un attimo ho pensato di essermi sganciato e stavo precipitando. Guardo in basso, ora, verso la macchia nera. Inizia a muoversi. Il pubblico se ne va. Una macchia nera che si dissolve lentamente, finché inizio a distinguere corpi. In silenzio, a testa bassa, si girano e vanno via, lentamente. Quando tocco terra non c’è più nessuno. Le gambe sono completamente addormentate ma i due in completo blu e cravatta a righe si affrettano ad afferrarmi dalle ascelle.  Ora il boia mi sente. Dico ai due di sciogliermi,  cercando un tono adatto. Ma i due non sembra mi sentano. In realtà più che parlare, biascico. O almeno tento di muovere le labbra ma devono essersi addormentate pure quelle. Sento la frase nella mia testa, come se la dicessi ma non esce suono dalla bocca immobile. Tutto il mio corpo, mi accorgo che resta immobile.  La mia testa manda impulsi ma ci deve essere un ammutinamento in corso.  Le braccia, le gambe, niente. Mi abbandono totalmente nelle braccia degli sgherri.  Morto.

Quindi è questa, La Morte.

Nicola Eboli
Nicola Eboli
teatrante

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