nero e rosa al mattino

Racconti Mirko Ravaschino

La stanza era avvolta nell’oscurità. L’ odore di disinfettante copriva almeno Parzialmente quello della muffa.

Paolo rimase a guardare un istante quel luogo. Da un lato della parete si Apriva una piccola fessura che dava sull’esterno, sulla strada. All’altezza dei Piedi delle persone : erano in un sottoscala...

Un giovane alto e grosso lascia scivolare un gancio d’acciaio su un binario Attaccato al soffitto, mentre una ragazza accende la luce che penzolava al Centro, dall’alto.

Le pareti erano di un grigio smorto.
Per il resto vuoto.
Eccezion fatta per un lettino medico posto accanto alla porta ed un piccolo Armadio di metallo.
Ogni cosa era grigia e stanca lì dentro.
Ogni cosa era logora e consumata.

La tristezza e l’agonia si potevano respirare sulle pareti.. perfino in Quell’anemica luce.
L’uomo posiziona il gancio al centro della stanza. Proprio accanto la lampada Che piombava dall’alto.

La ragazza - magra, occhiali, qualche piercing qua e là sul viso, capelli neri e Lunghi attorcigliati su una matita- tira su le maniche del maglione ed estrae Dall’armadietto una confezione di guanti in lattice.

Senza che mi dicessero nulla,  comincio a spogliarmi: levo il pesante Cappotto.
Non so dove appoggiarlo.

La giovane vista la mia esitazione si avvicina allungando la mano : “dallo Pure a me, lo porto di là”
Le passo anche il magione e poi la maglia.
Rimango a torso nudo, mentre lei si allontana.

Fa freddo.
Ho molto freddo.

L’uomo non parla, ma le sue mani sembrano parlare per lui: il rumore del Lattice dei guanti..
Quell’orribile schioccare... prima la mano sinistra, poi la destra.

Si dirige verso la parete.

Preme un grosso pulsante rosso posizionato sotto l’interruttore della luce.

I ganci da macellaio cominciano a scendere...
Alcuni passi annunciano il ritorno dell’aiutante : “lascia, sto io qui” gli dice sotto voce avvicinandosi al bottone a parete.

“Sei pronto ?” mi chiede l’uomo

Faccio cenno col capo che può procedere.

“Ora disinfetto il ferro” continua

Prende una bottiglia di plastica bianca e comincia a versare sul gancio una sostanza trasparente, dall’odore di benzina.
Steramina .

“Abbassa” dice all’altra

Avvicina i due uncini alla mia schiena.
Mi inarco leggermente per essere trapassato meglio.
Le ferite precedenti erano quasi rimarginate.
Sento il primo gancio cominciare a scavare dentro la  pelle.

Brucia da morire.
Tutto il freddo si trasforma in un unico brivido che attraversa il  collo e si Ferma alla  testa.
Spinge sempre più forte.

Scava dentro me, come se quel coso inanimato avesse una volontà : il dolore è sempre maggiore.
I tessuti attorno alla prima ferita si dilatano fino a consentire l’intero ingresso dell’ospite..
Uno è dentro e sento già di non avere più un corpo.

Per l’altro l’operazione si mostra più complessa, perché la ferita era chiusa del tutto..
La punta metallica ben acuminata penetra la carne.
Ho voglia di lasciarmi andare.
Di cadere e stare inerte nel vuoto.. ma è troppo presto.

Troppo presto..
Lasciatemi andare! Penso.

Una sensazione di inebriante vertigine pervade i miei sensi..
Il sangue che esce sembra ustionare la mia pelle..
Mi attraversa la schiena come un panno umido e caldo..
Ma poi, appena mi abbandona per cadere a terra, ancora il freddo.

Con una mano, il mio carnefice prende i miei tessuti come a volerli separare dal resto del corpo.
Spinge!

È tutto dentro.

Poi un colpo secco...
Il dolore mi mozza il fiato.
L’uomo da due strattoni alle catene.

Sento immediato il rumore del motore che le riavvolge..
Lascio la terra e mi libro nel vuoto.
Mi lascio cadere rimanendo sospeso dal pavimento per una ventina di centimetri.
Abbastanza.

Sento la forza di gravità, di attaccamento al suolo…
Mi spinge verso il basso, deformando la mia carne fino a lacerarla.
I polmoni mi vengono risucchiati e si fanno tutt’uno con le viscere. La testa si gonfia di puro e sublime dolore. Poi solo spilli.. ovunque.

Desidero stare quassù, anche se sono pochi centimetri sopra le mattonelle.
Non sono più l’uomo. Solo una carcassa appesa. Senza volontà. Eppure mi sento così vivo..
A differenza delle bestie non vado al macello: il mio macello è lo stare con i piedi per terra.

Qui mi elevo. Qui, in questo triste scantinato, sotto un negozio di tatuaggi in centro a Milano, sotto i piedi dei passanti, tra la muffa e l’umido chiudo gli occhi e senza respirare sono dio.

Sono.
Almeno per qualche minuto.

Non ho più coscienza di me: non più un corpo, non più una mente: tutto è unito, indifferenziato in un caos primordiale.
Mi sento svenire.
Appena appoggio i piedi casco per terra quasi come chi respira ossigeno troppo puro.
“Tutto bene?” mi chiede un po’ burbero il mio lucifero..

Un altro cenno del mio capo per dire sì.
“Disinfetta un po’ la ferita prima che vada via” dice all’assistente..
Non riesco a parlare, respiro soltanto.
Lo so, lo avverto nella sua voce: il biasimo.
Non capisce e mi vede debole e stupido..

Non sa. Non può sapere..
Mi rialzo lentamente cercando di ritrovare l’equilibrio.
La ragazza mi porta i vestiti.

Con mano delicata mi passa un po’ di cotone idrofilo sulle ferite.
Mi contraggo verso il muro drizzando la schiena e trovando d’improvviso la posizione eretta

“brucia un po’” mi dice.

Infine  mette una garza sterile all’altezza dei 4 buchi.
Mi rivesto.

La mia ascensione da quell’infernale paradiso è lenta.
La città riprende pigramente il suo cieco vorticare ed io mi perdo tra i turisti e gli avventori di negozi.
Incrocio lo sguardo di una ragazza che mi sorride un po’ maliziosa.
Probabilmente sembro uno dei tanti in vacanza che gira tra le vie di Milano per comprare un capo firmato o per fare colazione in un bar bevendo un caffè da 5 euro; o  forse solo uno che passa il tempo…

Che importa…

Chi potrebbe pensare che cerco solo la felicità appena persa...?
Tutto rosa. Nero e rosa. Leggerezza dell’esser infelici. Al mattino…
Eterocromia dell’iride..

Mirko Ravaschino
Sono nato a Milano il 15 novembre del ’76. All’età di un anno già parlavo. A due anni mi leggevano le fiabe di Esopo, a tre bevevo Martini rosso mentre mi leggevano le favole di Esopo…ero attratto da tutto ciò che era rosso… poi però ho smesso; con il Martini, con Esopo e con il rosso…ma parlo ancora. Mi son laureato in filosofia in Statale e ho insegnato in diversi licei oltre ad aver tenuto corsi e seminari in alcune università ( tra le quali Milano ed Oxford ). Mi dedico alla scrittura a tempo pieno e viaggio… come un nomade sto qualche mese in un posto e poi riparto…a seconda delle disponibilità (economiche!! che noia il denaro!! ); ho vissuto in Olanda, Inghilterra e Norvegia, ove ritornerò per fine anno. Amo i gatti, le situazioni ingarbugliate, le nuvole bianche e vaporose, la pioggia, camminare sotto la pioggia, l’odore del caffè appena sveglio, il caffè, i miei vizi, le mie debolezze e le candele. Mi piacciono i dettagli, l’incoerenza, l’intelligenza, l’ironia ed il silenzio. Non mi piacciono le maiuscole (vedi amore con l’”a” maiuscola), le etichette, le cannucce e chi non ha mai dubbi. Chi sorride sempre e troppo a lungo e chi non sorride mai. Forse in base a ciò che ad una persona piace/non piace oggi, si può quantomeno immaginare “una” sua vita; una delle tante possibili strade che lo hanno condotto “qui ed ora”. Senza l’ausilio di date ed eventi …ore 20.20 Carosello…

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3 Commenti

  1. Particolare ed intenso.

    Si sente il dolore a pelle, ma un dolore felice....vivo!

    Quanto mi piace questo genere di scritti....

    N.A.

  2. Si anche io trovo questo pezzo particolare e interessante. La pazzia rende più vicini alla libertà. E nel protagonista mi sembra ce ne sia di pazzia buona dove il dolore lo eleva nella sua voglia di "vivere".

  3. davvero felice di avere anche te tra noi... i tuoi post sono davvero interessanti!


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