Io canto l’Uomo, solamente il fragile individuo
nient’altro che l’odore di me stesso
e il suono che si smorza a sera. Canto
il folle desiderio di chi vola,
l’istante definito tra le cose
ciò che non era o quasi è in divenire.
Io canto la parola che non disse
il fiore che non colse l’assassino
di solitarie idee. Io canto Ulisse
vascello luminoso di pensiero
lanciato sulla rotta del mattino.
Io canto ciò che vide il primo uomo
ciò che conosco appena, la metafora,
l’ossimoro, l’immagine del Verbo,
il sangue che fluisce ancora. Canto
il tempo che mi canta, le stagioni,
la musica, le azioni, la preghiera
che disilluso innalzo come un grido
nel fraseggiare rapido e confuso.
é abbastanza evocativa da attirare la mia attenzione...non sono molto appassionato di poesia.
Molto interessante
Sai, forse l'unica cosa da evitare (ma non so se è volontaria) è quella rima finale del "Disilluso" + "Confuso".
Ma questa è solo un'osservazione spassionata di un lettore qualsiasi come me.
Canto
il folle desiderio di chi vola,
l’istante definito tra le cose
ciò che non era o quasi è in divenire... bello questo passaggio
A volte le parole cercano un vestito di metrica e rime. Paradossalmente, come sempre quando l'epressione (che per natura dovrebbe essere libera) è calata in una forma... è come versare un liquido in una bottiglia, il contenuto prende la forma del contenitore che lo trattiene.
Per questo ho usato l'endecasillabo, preziosa eredità del passato.
E per questo ho usato le rime, non solo nel finale (disilluso-confuso) ma anche prima: sera-era;
disse-Ulisse; assassino-mattino. Secondo me l'omofonia crea musicalità. Grazie a tutti del passaggio.
grazie a te Guido.