C’è questa ferita aperta – profonda sul mondo conosciuto –a traboccar rugiade ambrate e filamentosi succhi,
di che trarre putrescenti abluzioni di cieca, furente ferocia.
E affanni, meraviglie, codici a barre sotto cupole di sangue:
posso certo adempiere a iperboliche paranoie tecnotroniche.
Stregone misterico, su incesti di sangue piegato a giubilo, io sono.
La mia ferita che pasce, ingrata e assurda,bevo,
a passeggio per un imperversare di amori,
stagionali e blasfemi come una griffe.
Discinte virtù di dei nani sbracati a festa coi coglioni in mano;
famiglie benedicenti bandiere e abecedarie sobrietà –
a slancio su metaboliche psicopatologie da gnosi catodica…
Meccaniche assassine del giusto nell’ovvio,
pregiudizievoli macellaie di giovane carne
essudatrice di ormonali esuberi d’anima.
Ho marciato un turbinare di parossistici inchini plurimi –
e sbadigli,ginnastiche proteiformi di obbedienza dativa
d’intransitive mattanze.
C’è questa ferita aperta,che pasce e freme e butta linfa –
a lubrificare il moto rotatorio
sull’asse di geosferiche escatologie di estinzione.
Un’ idea assassina, ho maturato, sotto vuoto,
fra l’ala coriacea della colomba e la dinamo del giudizio.
Colpevoli astanti, biascicano trasmodanti quantità
di chiacchiere ostensive del nulla,
sullo scrupoloso calco di cedue verità,
tra rimozione e sollecita penuria di midollo.
Operose macchine schizo-transfert, che mi incalzano la testa.
Su vasti scenari d’ intonaci di sangue
s’apre l’agiografico sepolcro della colpa universale:
e schiude,figlio reietto d’avanguardistiche omissioni,
uno sbadiglio mortifero da cronaca nera,
a mattino spazzato con diligenza inetta.
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