Mentre si stringeva al muro, pensava a sé stessa sorridendo, in fondo non era diversa da una delle statuette di porcellana presenti nel paese del Sud del Mago di Oz (la sua fiaba preferita da bambina), interamente realizzato con materiali vivaci e colori sgargianti, quasi a volerne fare un’opera d’arte della vita: la casa delle bambole, viva e animata, dove ogni essere si metteva in mostra, costituendo un ideale… ma altrettanto fragile da cadere a pezzi al primo tremore.
“Non osare più rivolgermi la parola. Dea”. Quella settimana l’aveva letto si e no un paio di volte quel messaggio. Le amicizie finiscono e sbocciano, d’altronde sono fatte da persone e le persone vanno e vengono come la fila agli sportelli. A volte, andandosene si portano via il tuo ragazzo, dopo ovviamente esserselo portato a letto, ma sono dettagli.
Certe amicizie sono un dono, a volte certe persone lo sono, diventando amori e partner; Dea, il suo nome, significava regalo. Lo stesso di Dorothy, la protagonista del Mago di Oz, alla quale era affezionata, sperando che, in un modo o nell’altro, avrebbe potuto affrontare le piccole e grandi sfortune e uscirne scuotendone i tacchi, proprio come la piccola di cui leggeva quand’era bambina: per qualcuno, si diceva (e continuava a ripetersi), la sua vita sarebbe davvero stata un regalo, lo sarebbero stati i suoi occhi verdi, le mani lisce e un po’ abbronzate, la scollatura appena accennata. E poi non ci pensava. Sorrideva e non ci pensava.
Alla stessa maniera, adorava Danae, la donna amata dal destino, di cui il destino si prese cura da lontano parendo il solito marito fedifrago sulla bocca di tutti, che un po’ ci teneva alla sua di compagna e mentre di notte lei dormiva, ci pareva gioire come la bella del dipinto facendo chissà quali sogni; cosicché sfoggiando una scherzosa vanità così semplice, aveva deciso di farsi chiamare Dea, giocando coi due nomi, lei che aspirava a fondere la bambina e la donna mai esistite in sé, ma chissà quanto esisteva lei d’altronde, se poi viveva solo di sogni.
Poi un giorno quel messaggio che è costretta a mandare. Le foto di lui a brandelli nel cestino. Il numero di quella amica, ora nemica, cancellata in un impeto di rabbia tutta femminile, che sarebbe volentieri culminata in una faccia di schiaffi. Ma in fondo lei dovrà starci bene prima o poi, le passerà. La vita è ricominciata e quel destino non le è stato propriamente vicino, mentre la città restava in piedi coi suoi edifici indifferenti e qualche albero sparso qua e là, sorto come un’erbaccia dal cemento.
Ma ora è sulle scale per arrivare al suo appartamento, ha voglia d’aria e il sole è già caduto. Le buste, la borsa sulla tavola, non troppo colme. Si è guardata per bene mentre passava davanti a una vetrina, il trucco è ancora sul suo volto e la matita nera non lascia scappare i begli occhi verdi, rendendoli ancora più attraenti; sembra una principessa, le torna alla mente questa frase, è quello che avrà pensato quello che per strada s’è fermato a fissarla e poi è arrossito, l’ha detto pure il tizio alla cassa nel negozio di orecchini e così la sua collega mentre provava alcuni make-up.
Il messaggio di scuse le è arrivato con tanto di “non accadrà più”, però non ha avuto seguito, o meglio non le è importato più nulla; un sussulto la prende, il futuro è passato di sfuggita alla sua porta. Cercare qualcosa nel passato, si, potrebbe tornarle utile… ma lei è una principessa? Si chiede. Forse la stessa del mondo di Oz… una delle tante, quella che sa che il suo posto è stare ferma ad esser ammirata da tutti, ma al contempo sa che ne sarebbe tanto infelice se così fosse, pur rischiando di cadere e andare in pezzi. Che forse di crepe ne ha già abbastanza dentro, più che fuori, da non poter amare bene o vivere senza preoccupazioni.
Sentiva la terra su cui camminava davvero liscia e lastricata da porcellana, fredda. In ogni passo, riflette il suo viso nella donna di domani e ora si vede sola, ora si vede avviluppata dal destino come Danae.
Per non farsi prendere da qualcosa che le farebbe del male, decide di correre, pur rischiando di cadere e andare in mille pezzi.
Mentre è con le spalle al muro, si stringe in un abbraccio, un’altra crepa le si apre dentro silenziosa.
Good work man.
Ciao.
Bellissima, e un personaggio affascinante... *-*
del genere che se ti avvicini troppo puoi addirittura sentire crack.
BEL PEZZO DAVVERO Giuseppe!