Eva scende dall’autobus e con la testa china si avvia verso casa. Sono le tre e come ogni giorno non è riuscita a lasciare la sua postazione di lavoro alle tredici, orario previsto dal contratto. Contratto per modo di dire perché Eva rientra nel calderone dei precari che manda avanti l’Italia. Il suo contratto è a progetto e, anche se per legge è fuori legge stabilire un orario di lavoro "dalle...alle", per Eva è previsto che lei lavori dalle nove alle tredici. Questo le ha detto a voce il suo datore di lavoro. Ma poi, cinque giorni su cinque, quando si avvicina l’ora di tornarsene a casa, eccolo che arriva con un pacco di nuovi fogli da lavorare.
«Urgenti, non si possono rimandare. Tanto che ci vuole? Mezz’ora e hai finito».
E quella mezz’ora si trasforma in un’ora e mezza. Eva non ha diritto agli straordinari. E così china la testa e si mette a smistare il nuovo plico di fogli. Se le va bene riesce a tornare a casa per il tempo di un panino, prima di andare a prendere le figlie a scuola.
Eva ha trentaquattro anni, ma addosso se ne sente almeno dieci di più. Eva è sposata e ha due figlie, gemelle. Vive per loro e sopravvive per tutto il resto. Sopravvive per il suo datore di lavoro che la sfrutta e a fare i conti la paga meno di quattro euro l’ora. Sopravvive per suo marito che ha smesso di considerarla come amante, ma non si dimentica di dirle cosa deve o non deve fare. Sopravvive soprattutto per quello che credeva di essere e che ha perso lungo la strada.
Eva non sorride più, non ne ha motivo in fondo. I suoi occhi sono spenti e le gambe ogni giorno diventano più deboli perché a furia di sopravvivere uno perde la forza di andare avanti. Anche se ha due figlie.
Eva aveva tanti sogni nel cassetto e credeva che la vita volesse dire poterli realizzare. Questo quando era adolescente, poco più che bambina. Questo quando il padre le raccontava le favole prima di addormentarsi in cui i protagonisti erano uomini e donne evoluti che si portavano rispetto e sapevano cosa volesse dire comprensione e condivisione. Il papà era un sessantottino che credeva nell’uguaglianza fra i sessi e infatti si era sposato con una donna talmente tanto femminista che Eva aveva sempre creduto che a casa i pantaloni li portasse la madre.
Eva non porta pantaloni, ma ampie gonne, capelli lunghi e scarpe comode, ma sempre con un piccolo tacco. Eva si trucca ed esce di casa sorridente. Marco, suo marito, lo ha conosciuto proprio mentre cammina sui suoi tacchi a testa alta per le vie del centro della città. Lui le ha fischiato e lei gli ha sorriso. Sono andati a prendersi un caffè al bar dell’angolo, sotto i tiepidi raggi di un sole settembrino.
Eva studia all’università lettere moderne. Lui è informatico presso una grande società. Eva è bella e solare e soprattutto è donna dentro e fuori. Marco è un bel ragazzo e sente nel profondo di volerla tutta per lui.
E ci riesce. In breve tempo Eva diventa sua come può esserlo un’automobile o un computer o un telefonino ultimo modello. Diventa sua senza aver avuto bisogno di comprarla.
Eva non se ne accorge perché Marco è furbo e uomo. Eva è solo donna e dopo due mesi che si conoscono Eva diventa ancora di più sua perché Marco le viene dentro anche se Eva non vuole. L’ha comprata con poche gocce di liquido che pesano nell’anima di Eva quando si trova di fronte alla decisione più difficile della sua vita.
Eva è donna e deve decidere se divenire madre. Eva non lo sa cosa vuole. Non lo sa più. Prima sapeva o credeva di sapere. In fondo suo padre era un sessantottino convinto e la madre una femminista integralista. Eva non può non sapere, da una famiglia così all’avanguardia Eva ha appreso le conoscenze che una donna deve avere per poter vivere.
Ma Eva non è la madre e infatti non porta i pantaloni. Solo gonne. E così non chiede consiglio alla sua famiglia così aperta e moderna. Eva va in chiesa anche se non è stata battezzata. Va in chiesa a piangere e il parroco di quella chiesa sconosciuta le vede e decide che una pecorella smarrita ha bisogno di tornare all’ovile.
Coincidenze o caso, Eva non sa dirlo. Eva torna all’ovile. Eva diventa mamma, continua a portare le gonne ma smette di studiare lettere moderne. Eva diventa mamma e casalinga. Eva sorride solo con le figlie mentre suo marito prende in mano la sua vita e muove fili invisibili che Eva non si accorge di avere attaccati nella sua anima.
Eva taglia i lunghi capelli e si dimentica di aver avuto un tempo una sua cerchia di amiche. Eva è mamma e parla con altre mamme al parco o in piscina o a danza mentre aspetta le figlie. Eva va al cinema a vedere film di animazione con le figlie, ma non sa cosa voglia dire andarsi a vedere uno di quei film di sinistra che fanno pensare e che per lo più sono dei grossi mattoni che sembra non finiscano mai. Non le mancano, si dice. Non le manca nulla si dice. Eva vive per le figlie, ma ha smesso di inseguire la scia dei suoi desideri.
Eva è solo una donna occidentale che crede di essere libera, ma non lo è perché le sbarre della sua prigione sono trasparenti. Eva ha smesso di desiderare e di chiedere perché qualcuno decide per lei e lo fa con fili invisibili che nessuno vede.
Ritrovai il mio cuore nascosto sotto un cespuglio.