Saremmo bruciati nell’estate
me e te assieme
buttandoci in faccia le nostre noie,
sporgendoci, reggendoci sui pensieri dell’altro.
Mi calavo sull’afa, avevamo
stanze strette, letti enormi;
il coraggio e la passione quando scoprivo il suo seno
alle baie di città disperse,
lontane dall’uomo e
da quei suoi vizi di felicità.
Io la accoglievo dalla distanza
miscelando i vari flussi
e sparlando di poesia,
mentre si teneva accanto
che non si sarebbe fatta trovare.
Saremmo bruciati io e lei,
sgualcendo le finestre e le panchine crepate,
dando corpo sostanziale a ciò che
credevamo di meno, illudendoci,
per cani e porci e bandiere
che sfilavano iniziando carnevali indiani
così seccanti a lungo andare.
Parlava di odio come alle masse,
si ricopriva e restava abbastanza
da abbandonarsi in luoghi di erba, cemento e ferro,
sola come messaggi di cellulare
che fai leggere a chi ne capisce:
discutono di credito,
quello finito nelle discoteche mentali
con reginette troie cubi o triangoli
mischiati solo dalla confusione
stereoscopica che sa giudicare i detenuti,
mentre era alla ricerca del torpore
dal casino che cominciava.
Saremmo bruciati nel lasciarci andare,
increspati e sconvolti dalle crisi
personali prima che economiche,
conoscendo il valore ripudiato delle cose
che abbiamo perduto
e non riusciamo a rimpiazzare.
Ma sarebbe rimasta dov'era
a fare tazebao con arabeschi
per affermare il diritto e l'esser donna.
Buttammo la benzina direttamente sulle macchine
dando fuoco a ciò che eravamo e
portammo via le ceneri in vista delle moto
che sfrecciavano verso il niente
che sarebbe venuto incontro
come agli incontri.
Falò sulla spiaggia,
saremmo bruciati nell’estate,
rimpiangendo e chiedendoci di noi stessi.
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