Per quanto mi sforzassi di avvicinarmi e addirittura cercassi di farmi prendere e toccare non c'era verso di riuscire a stabilire un contatto degno di questo nome.
Forse era questa la cosa che accomunava la maggior parte di noi, pensavo.
Non so dire da quando le cose fossero cambiate. Ma ,di fatto, la realtà era diventata sterile, in un giorno come gl'altri. Senza preavviso.
La notte piangevo piano, piangevo per gl'altri e per me, stando ben attento che non mi sentissero. Nessuno avrebbe dovuto saperlo. Nemmeno io.
Nel sonno profondo tornavano i sogni: Luminosi di aria ed acqua, e profumati di sole dove c'erano le piante di liquirizia che riuscivi a sentire tutto attraverso la pelle.
Al risveglio tutto spariva, e come ogni mattina, un nuovo giorno tutto intero e solo, da vivere.
Non era questo il mio sogno di quando ero un bambino. Ma il viaggio era senza ritorno, e lo sapevo benissimo dal giorno della partenza, forse.
Con fatica indossavo la tuta e poi accendevo l'ossigeno miscelato in giusta percentuale. Un respiro profondo e uscivo tra i grandi: astronauti che non vedono più stelle.
i grandi... già astronauti che non vedono più le stelle...
Ma in noi è sempre presente un bambino da proteggere e curare.
I bambini non si proteggono, e noi lo facciamo eccessivamente. l'esperienza ci muta malamente e non si ha più il coraggio di mostrarci per quello che siamo veramente, non ci si sa più far toccare e vedere veramente.