...e in quel sogno ci sei entrato davvero.
La cercavi nel buio senza trovarla. Sotto il lenzuolo non sentivi la sua forma abituale così delicata da sembrare quasi fragile, la schiena di bambina, le braccia e le mani esili che tracciavano ghirlande e arcobaleni nell'aria.
Dormiva accanto a te e si ampliava ogni attimo di più, diventava immensa e più la accarezzavi più si trasformava in una creatura smisurata e calda, un essere leggendario senza confini. La toccavi, sfiorandola dal collo alla schiena, dalle cosce fino al suo caldo paradiso. Più la baciavi e più si amplificava e dilatava; era enorme, la sua pelle uno spesso sipario, un velluto nero come una notte senza luna.
Divenne granito e marmo che hanno attraversato i secoli, duro quarzo forgiato dal tempo, roccia raschiata da pioggia battente, dal vento che soffia e dal sole che brucia.
Respiravi forte il suo odore di muschio e di fragola. Dov’era? Forse quella notte aveva abbandonato il suo corpo e fluttuava verso mete sconosciute, forse aveva lasciato soltanto un vuoto involucro accanto a te, un sarcofago d’ossa e di pelle.
Certamente il tuo era uno stato alterato, ma anche la notte è un mondo affiancato e misterioso che partorisce orizzonti sconosciuti fatti di sogni inenarrabili e chimere irraggiungibili, una seconda realtà appena mormorata.
Camminavi sbigottito su lei ed eri un bambino sperduto in una selva lontana. Strisciavi nell’incavo del collo e tra i suoi seni enormi, emergevi da un ombelico sconfinato ed esploravi la verde prateria navigando nella palude calda del suo sesso che ti accoglieva nel sonno per ospitarti in un grembo sempre più smisurato, una spelonca umida e avvolgente.
Lei stava ancora sognando, lo potevi intuire dal rapido muoversi degli occhi sotto le palpebre chiuse. Innocente.
La camera era fredda, bianche lenzuola e uno specchio che rifletteva l’immagine di voi. Fuori un silenzio di pace e di attesa.
Osservavi i suoi lineamenti, le labbra un po’ corrucciate di chi vuole sempre avere l’ultima parola e le guance leggermente scavate di chi ne ha viste e vissute tante, ma la notte nascondeva ogni cosa e la copriva di nero. Nel buio raccoglievi te stesso e radunavi i cocci smarriti per strada cercando di rimetterli insieme perché potessero avere la forma iniziale. Il pensiero danzava in te come una trottola impazzita, girava e rigirava senza fermarsi mai.
Il suo corpo era piccolo e steso di lato accanto al tuo. Sapevi cosa cercava e cosa desiderava. Potevi intuire di lei anche il più misero frammento di pensiero e avresti voluto divenire in un istante paradiso o inferno, essere il suo niente o la sua immensità, il suo pensiero ricorrente, il cancro che avvelena o l’antidoto alla tristezza più nera.
Per questo non chiedesti di più in quella notte di luna gigante come una gialla mongolfiera appesa nel cielo. Ti sentivi racchiuso da una morbida scatola di seta con le pareti colorate di verde tenue e lucente. Verde come le foglie in primavera pronte a sfamarsi di sole e ossigeno per rigenerare la pianta e renderla nuova. Verde come un prezioso smeraldo rimasto nascosto per secoli nelle viscere della terra, costretto nella profondità della roccia in attesa di vedere la luce e lasciarsi attraversare da una scintilla dorata. Verde come la cieca speranza e la dolce follia di chi sogna un’eternità possibile a dispetto della mutevolezza del vivere.
Tutto sembrava compiuto e un cerchio perfetto si chiuse al ritmo ondeggiante del suo respirare quieto. Avresti voluto che quell’attimo non finisse mai e rimanere così, lontani da tutti, lontani dal mondo.
Tu e lei.

Guido Mazzolini
Guido Mazzolini
Nato a Cremona, da allora respiro nebbie fitte, afa padana e pianeggianti sensazioni. Mi esprimo come posso e come so, nello stesso modo che mi è stato concesso da un cinico fato. Scrivo parole convinto che l’espressione sia la magia donata agli esseri umani per potersi elevare e somigliare agli Dei. Non esistono punti fermi nel mio esistere, solo zattere di comprensione in balia di un oceano agitato e onde altissime che conducono, malgrado noi, verso lidi sconosciuti. Per questo credo nella parola espressa come valore supremo; ci credo perché la voglio fortemente mia, la sento scorrere nelle vene più del sangue, possiede un proprio odore inafferrabile ed evoca consapevolezze diverse, la posso toccare con mano, ingoiare e respirare ogni istante. Credo nel “linguaggio dell’inesprimibile”, nelle sensazioni e intuizioni che solo parole non convenzionalmente espresse riescono a palesare realmente. "Sono l’oscuro lato che nasconde la genesi più vera di me stesso." Ho scritto, mio malgrado: "L'Attimo e l'Essenza", "Diario di bordo", "Il passo del gambero", "Suoni", "La ragione degli alberi", "Un celeste divenire". "Destinati a direzioni diverse" è il mio ultimo figlio di carta.

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