Umniah si truccava allo specchio. Gli occhi stanchi della notte passata, eppure decisi; quella doveva essere una mattina bianca, di quelle che ti alzi e non ti importa davvero di niente.
Era autunno a Delhi. Ci guardavamo coi nostri modi giovani e dorati: lo scrutare dell’esperienza che credi di avere, eppure sei solo pieno di dubbi.
Nadia sedeva sul letto sfatto, i capelli legati e i pensieri che la coprivano. Aveva passato le scorse due ore a prendersi spazi nel letto mentre cercava il sonno da dentro gli short. Scriveva qualcosa, mentre respirava l’aria del ventilatore attaccato al soffitto. Ci seguimmo con la coda dell’occhio non appena mi vide passare nel corridoio.
Nei loro volti di donne lo stesso segreto ascritto. La bellezza è un dono che aspetta.
Mi sarei accorto che quello sarebbe stato un ricordo. Lo era già, mentre ci riflettevo e fissavo tutto nella mente: sei donna da ogni meridiano o parallelo e comunque ripeterai sempre i gesti di tua madre. E volendo potevano essere come sorelle a migliaia di chilometri di distanza per quei modi che avevano di truccarsi, ripetendo le stesse azioni e gli stessi gesti mentre sbuffavano.
“È ora” mi dicevo e non ci facevo caso. Ci tenevo a far durare una contemplazione vaga, senza voler andare a lavoro.
Umniah chiuse le labbra e chiese d’andare, mi voltai prima di scendere le scale. C’era la polvere fuori e il giorno che ci aspettava.
Sarebbero venuti altri giorni come quello, avrei guardato altre persone e col tempo distinto soltanto il gocciolio del lavandino.
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