Vieni a visitare quest’anima irrequieta,
carezza il nero guanto di sfida
con cui ho schiaffeggiato
la mia parte di vita.
Nelle fauci oscure e profonde
della notte punteggiata di liquide stelle,
vieni a suggere il mio robusto vino
e a cancellare il sangue
da questo angolo claustrato
che cannibalizza la mia pazienza.
Mentre i tuoi baci mi scendono la fronte
e il ticchettare arcigno della vecchia pendola
accora ogni singolo istante,
goccia a goccia, il cielo gonfio ed elettrico,
suscita odore di terra bagnata;
ma l’afa perdura,
e fa, degli abiti, pelle su pelle.
Visita il cerchio perfetto del mio cuore,
che dal suo si diparte e al suo torna risolto
in asintotici compimenti di dialettiche affettive;
con ragioni sue segrete
che non chiedono il permesso,
non si mettono belletti, non s’inventano pose,
e tremano di luce sempre più in là
di dove ho sguinzagliato il mio ferino diniego –
nel punto esatto del termine della sua cattività,
nel punto esatto in cui si intersecano
menzogna e verità senza torto,
torto e ragione senza menzogna.
Nel gergo barocco di questo selvatico cuore,
spontaneo come un’edera,
aspro come scoglio,
declinato in nevrotiche forme dialogiche
cangianti come nuvole che in cielo veleggino.
Massimo Triolo
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