Pare banale ma fra le tue ciglia ho intravisto qualcosa.
Poi, dopo una breve sosta ancorata ai miei pensieri, a qualche ciuffetto di ricordo,
alle vecchie parvenze di panna montata ancora da smontare del tutto,
ho voluto avvicinarmi per vedere meglio.
Non era un solito od insolito barlume di speranza, né un adesivo morbidoso che si dà arie da coccole pronte,
né seduzione, non era neppure qualcosa di luccicante quello che avevo intravisto.
Era spazio. Uno spazio che conteneva tante cose. Così mi ci sono tuffata.
Spazio nel quale mi riposavo dalle parole dette, da quelle non dette,
dalle voci presenti, assenti, rincorse o messe a tacere.
Eppure uno spazio sonoro, sì, perché io ci sentivo della musica.
Ci ho sentito quello stesso ritmo naturale della tua mano quando mi accarezza i capelli senza chiedere nulla,
ma senza privarmi di niente.
Nella freschezza ferma delle tue parole, nella serenità dei tuoi silenzi,
ci ho sentito la sostanza dei pensieri.
E quello che non dici, che è più importante di ciò che dici,
e proprio per questo mi basta e non m’importa che tu ci aggiunga altro.
Perché nel tuo spazio so che c’è il mio, e non me lo togli. E non vuoi cambiarlo.
Al contrario di molti, tu non t’imponi, non scavi, non plagi, non appari, non cerchi nulla.
Tu mi accarezzi con la tua assenza,
e quando ci sei ci sei davvero, tutto, intero, senza ombre, senza dubbi.
Ecco cos’è la musica per me: limpidezza.
Limpidezza nella quale sto con te potendo rimanere me, semplicemente me.
O forse non è così.
E di nuovo lo scoprirò, come altro, come quel sapore che conosco troppo bene
...un profumo che si consuma da solo.
Per lasciarmi poi quasi senza fiato.
Sarà che sono stata sempre sola, in fondo, o comunque sempre sola mi sono sentita.
Anche quando volevo tuffarmi sai, apparivano presto bollicine nefaste.
O sono io che non so capire il momento, e mi tuffo quando c'è già bassa marea.
Quando magari sta divenendo già un deserto, terra bruciata.
Popolata da altre.
Nuove Veneri, e senza saperlo sono già controcorrente.
E mi scotto sempre i piedi, e non solo.
Sarà che sono troppo sensibile ed allora le mie bracciate non arrivano fino in fondo.
Poi me la fanno pagare...mi fanno pagare il fatto che non ho afferrato in tempo
quello che dicevano di volermi dare.
Di questi tempi, la gente afferra la qualunque cosa.
Anche quella non sua.
Ma io che scrivo, devo sentire con costanza cose che non siano parole.
Detesto i rebus, le vetrine...Mi confondo.
Così tanto che perdo persino quello che magari c'era.
Ma il cuore batte....s'impenna. Lui, davvero, non sta zitto un attimo.
Sarà che a furia di star da sola devo raccontarmi delle cose.
Per farmi compagnia.
Per non abbandonare me. O la mia penna.
Non del tutto.
Così mi metto sul tetto del pozzo...
con qualche verso randagio.
Magari anche stavolta mi resteranno solo delle goccioline,
che il vento asciugherà, prima o poi.
Oppure no.
Intanto non so fare a meno
di quello di cui ho sempre bisogno...
mi metto sul tetto del pozzo
e gioco col sole,
con qualche verso randagio.
Sarà per questo, forse, che mi faccio a quest'ora un altro caffè.
Perché vorrei fosse già mattina.
Nelle mie notti salmastre l'aspetto da tanto, sai?
Eppure, solo la notte mi conosce.
Quella falce di cuscino lucido, verso la quale non sempre so andare.
Ci fu, una volta, una stella.
Ferma, eppure il deserto ci offuscò.
Poi... ai bagliori volli non badarci più, per poter respirare.
Quella stella rimase uno spazio...
senza terra, senza corpo...
un amore senza nome.
Non volli più dargli un nome.
Ed ora non so se a brillare sei tu.
Ma di sicuro so una cosa: tu non sei il mio specchio.
E forse è giusto così.
E forse è giusto proprio perché è così.
Oppure, sei lo specchio del fatto che sto guarendo da me.
Elena Condemi
httpv://youtu.be/_KN_nyGehek
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